VIAGGI, PENSIERI, EMOZIONI
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Sunday, May 31, 2009

Flash back

Essere in una stanza d'albergo della capitale del Malawi, presuppone talmente tante cose che solo pensandole tutte (o quasi) contemporaneamente si riesce a percepire la profondità che i presupposti provocano.

Tuesday, May 26, 2009

Candombe: il ritmo nero della strada




Guarda il foto-racconto

Il 25 Maggio del 1810 a Buenos Aires, cittadini armati espellono il viceré di Spagna e stabiliscono un governo provinciale per l'Argentina. Da allora in questo giorno si celebra la giornata nazionale della liberazione.
In occasione di questa festa le comparse (gruppi) di Candombe si radunano in una città dell' Argentina. Il Candombe è un ritmo proveniente dall'Africa che è stato parte importante della cultura uruguayana negli ultimi duecento anni. Questo ritmo arrivò in Uruguay dall'Africa grazie agli schiavi negri, e ancora palpita nelle strade, sotto i portici e nei carnevali di questo piccolo incantevole paese fino a contaminare in maniera ormai diffusa le strade e la gente della confinante Argentina.
Il Candombe è quanto sopravvive di un'eredità ancestrale di origine Bantù, portata dagli schiavi negri nel Rio de la Plata. Questo termine è generico per tutte le danze di negri: sinonimo quindi di razza nera e di evocazione rituale della propria razza. Il suo spirito musicale riassume i dolori degli sfortunati schiavi, i quali si videro brutalmente trapiantati in Sud America, per essere venduti e destinati a duri lavori. Erano anime doloranti, che serbavano inguaribili nostalgie della terra natia. Nell'epoca coloniale, gli africani appena arrivati davano ai loro tamburi il nome di tangò. Con quel vocabolo veniva designato anche il posto dove i negri realizzavano le loro danze di candombe, le quali per estensione venivano chiamate tangò. Con la parola Tangò si definiva il posto, lo strumento, e la danza dei negri (da qui alcune ipotesi sull'origine del termine del ballo argentino tango).
Ad oggi argentini e uruguayani si ritrovano tutte le domeniche, giorno sacro per i candomberi, per praticare, imparare e suonare i tamburi.
Accendono un fuoco per scaldare e seccare le pelli dei tamburi, in modo che il suono sia più preciso. Il rituale dell'angolo di strada è parte del capitolo dimenticato della diaspora africana. I tamburi raccontano la storia del profondo impatto che la cultura africana ha avuto in Uruguay ed in altre parti dell'America Latina. Di fatto gli afro-uruguaiani celebrano un frammento della storia che sovente è stato ignorato.
Il ritmo del Candombe si crea col combinarsi del suono di tre tamburi (piano, chico e repique). Quando questi tre tamburi si riscaldano si ascolta qualcosa di unico in cui mi sono riotrvato immerso senza prevederlo e senza programmarlo.
Sabato sera all'Academia Biosferica, dove vivo e collaboro ormai da più di un mese, hanno suonato i Cajchi Lanudo, un gruppo di musica folcloristica argenitna.
I componenti di questa banda composta da chitarra, voce e tre percussionisti, sono anche dei candomberi che l'indomani sarebbero andati a La Plata, per la Quinta llamada.
Mi sono aggrgato a questi 15 ragazzi e ragazze della comparsa Copeta llama di Salta, che come cantano loro stessi "vengo(no) del culo del mondo", essendo una delle città più remote dell'Argentina. Situata nel nord-ovest ai piedi della cordigliera delle Ande, ad un'altitudine di 1152 metri sul livello del mare, capitale dell'omonima provincia è famosa per la tipica architettura in stile coloniale spagnolo ed e' circondata da magnifici paesaggi.
Il ritrovo per i Candomberi in trasferta era una vecchia fabbrica metallurgica dismessa, inserita in un contesto piuttosto diroccato, nella periferica di Tolosa, città inglobata con la confinante La Plata. Due grosse cisterne sovrastavano il parco di fronte all'edificio, dando una connotazione quasi sacra al luogo che brillava di mistero e energia alla calda luce del tramonto autonnale.
Alcuni fuochi erano già accesi, circondati da tamburi.
Disposti a semicerchio, sottovento, oppure affiancati fino a completare l'anello, i tamburi sono i signori del fuoco. Sono loro i protagonisti e ognuno si prende cura del proprio o di quelli della propria comparsa, andando a testare di tanto in tanto la tensione della pelle di cavallo o mucca.
Un paio di colpi con la bachetta o con la mano per ascoltare il suono e stabilire se è sufficientemente preciso per cominciare a suonare.
Qualcuno, probabilmente arrivato anzitempo, si era già adunato in cerchio e il suono delle percussioni salutò il mio ingresso in quel posto senza mai abbandonare le mie orecchie fino al momento in cui ho lasciato la città.
Mai.
Nemmeno di notte.
Il ritmo e' parte della festa. Il protagonista. E c'è semrpe qualcuno che lo fa vivere. C'è sempre qualcuno che lo alimenta. Ritmo e fuoco sono sempre accesi.
Sono accesi durante la presentazione delle varie comparse, mentre si mangia la carne offerta dall'organizzazione. Anche mentre suona la banda dentro la fabbrica qualcuno, fuori, un po' defiliato, suona.
Poco dopo il discorso polico e sociale di un tale con i baffi che aveva tutta l'aria di essere una specie di presidente, senza che nessuno decidesse nulla, senza preavviso, anzi, quasi all'imporvviso, un gruppo di candomberi si sono procurati il proprio tamburo e hanno cominciato a suonare. In pochi minuti avevano tutti un tamburo appeso alle spalle e stavano suonando.
Cento, forse di più. Impossibile contarli. Erano tanti e stavano camminado verso la strada. Allineato in righe parallele, questo plotone del ritmo della strada si stava avviando alla sua conquista. Lo spettacolo folcloristico era organizzato per il giorno dopo. Quella era una improvvisazione, una cosa natà così, per la passione, per il desiderio di suonare, di far vibrare la notte, l'asfalto, il fuoco. La città.
Le auto erano costrette a fermarsi o a cambiare direzione, i candomberi avevano invaso entrambe le corsie e una folla di ascoltatori li scortava ballando, cantando o semplicemente ascoltando.
Il giro del quartiere è durato circa un'ora e per quel tempo nessuno ha smesso di suonare.
Anzi, eccitati dal ritmo e dalle foglie di coca che masticavano, i percussionisti colpivano con forza crescente.
Sotto la luce elettrica davanti alla porta della fabbrica, le file si sono rotte in un grande cerchio e per ordine di un di un gesto, di un'intesa, di un linguaggio che io non ho potuto comprendere, all'unisono hanno rullato i battiti della fine.
Tum, tum, tutum.
Ed era giorno.
Dopo una notte passata sul pavimento di una palestra della facoltà di Ingegneria, il rito dei fuochi ha ripreso la scena.
Le comparse si rpeparavano per la loro chiamata, per andare a conquistare quei metri di strada dove incidere il proprio ritmo.
Il Candombe ha assunto una caratteristica coreografica al punto che quella rimessa polverosa, coperta di erba gialla, foglie secche e terra bagnata, si tinse di colori sgargianti, di voli di bandiere, di tamburi variopinti e del calore del fuoco.
Fuoco, ritmo, raduni, strada. Molte parole del mondo Candombe hanno assunto il valore del rito, ma la vestizione ha veramente qualcosa di magico.
Uomini, donne, bambini, indossano i costumi della loro comparsa: calzoni, maglietta, cappello e una sorta di lunga casacca cangiante sono la divisa comune, con variazioni di taglio e combinazione dei colori a seconda della fantasia e della creatività del gruppo.
Tutte le comparse, tuttavia, indossano calzoncini neri con fetucce bianche avvolte intorno alla gamba, per simboleggiare le cicatrici della catene degli schiavi.
Un tempo queste strisce erano rosse, il colore del sangue, ma ora le ferite si stanno cicatrizzando e le cicatrici sulla pelle dei neri sono bianche.
I percussionisti vestono tutti uguali e la coreografia e`arricchita da danzatrici più o meno vestite, da una sorta di matrona e dal bastonero, un vecchio dottore con bastone, borsetta e cilindro.
Originale la comparsa de la Boca, di Buenos Aires, Iya-Kererè, costituito da sole ragazze.
Non so quanto le parole possano desrivere l'arcobaleno di colori che per tutto il giorno ha tinto le strade, più di quanto una sequenza di immagini possa effettivamente restituirne la tavolozza, ma se il vero protagonista e' il ritmo, quello va ascoltato.
Lo si sente per tutto il quartiere, si alza dietro le case. La banda uscita per prima è ormai qualche blocco più avanti, scomapiono i colori, non il loro battito. Il suono dei tamburi tigrati si fonde con quello dei Tambores tintos, rossi, neri e bianchi. Nela decina di metri di strada liberi, tra una banda e la successiva, i due ritmi si fondono, e il suono, sventolato dalla bandiere, si spande nell'aria.
Non basta la pioggia a fermare il tempo.
Non quando quel tempo è quello della musica, ancora una volta, nata dalla strada, dalla povertà, dalla sofferenza, dalla schiavitù. Dalla pelle nera.
Il soul, il jazz, è quasi tutto nero.
La musica, il ritmo, sono da sempre espressione di sentimento e chi ha qualcosa di triste e forte da esprimere, qualcosa di profondo da espellere, non puo`che trasformare in energia per le mani la propria rabbia e farla suonare ovunque nel mondo.
Essere partito dall'Africa per questo viaggio, percorrendo in barca la stessa rotta degli schiavi e ritrovarmi ora a conoscere quello che quegli schiavi hanno vissuto e creato assume un significato intenso.
Anita, Diego, Alfredo, Esteban, Annalia e gli altri comopenti dei Copeta LLama mi hanno dato l'opportunità di conoscere uno spettacolo da dietro le quinte per assaporarne costumi e aspetti folcloristici con il valore storico e sociale che il suono eccitante del ritmo della strada cerca di diffondere. In Uruguay, in Argentina e nel mondo.

Tuesday, May 19, 2009

¿De dónde sos?

- Italia.
- Ah Italiano,.... mi abuelo (nonno) era de la Italia

oppure

- Italia
- Ah, Mi bisabuelo era italiano. Mi bisabuelo paterno. E mi abuela por parte di mi mama, tambien.
- Ah, mira.
- ¿Y de que parte de la Italia sos?

E qui non so mai cosa dire.

- Padova, Padua. coñoce?
- ....
- Esta en el norte, cerca de Venecia. Mais antes de dejarme de la Italia, estava viviendo en Milano.
- Ah, mira. Que barbaro!

Oppure

- Padova, Padua. coñoce?
- Padua, S. Antonio de Padua.
- Bravo. Muy bien!
- Yo tengo un primo (cugino) en Alessandria.
- Ah, mira. Que barbaro!


E' sempre così.
Sempre.
Ma tutti 'sti nonni, se ne fossero rimasti a casa loro.
Partono, conquistano mezza Argentina, si sposano l'altra metà spagnola e fanno figli e figlie che a loro volta si sposano e fanno altri figli e figlie che ora hanno un quarto di sangue italiano, o un ottavo se gli va bene e immancabilmente me lo vogliono dire.
Immancabilmente.
Avere un antenato italiano è un orgoglio.
Lo si legge negli occhi.
Te lo dicono con con un quelnonsochè di "anch'io".
E spesso non finisce così.
Qualcuno mi racconta di aver risalito il proprio cognome fino al 1300, per otto, nove generazioni.
Il signor Ranucci ha scoperto che un tale col suo stesso cognome era feudatario.
E il signor Bertoglio ha ancora molti parenti in Piemonte.
E quest'altro ha trovato una cugina in provincia di Cosenza che non sapeva di avere.
Le saghe famigliari si sprecano.
In Australia, specialmente a Melbourne, gli Italiani sono tantissimi.
Per non parlare di quanti ce ne sono negli Stati Uniti, e di quello che hanno fatto.
Ma in Argentina, o quantomeno a Buenos Aires, ho la sensazione che ci sia davvero un fiume di sangue italiano che scorre parallelo al Rio de la Plata.
La lingua italiana si parla ufficialmente solo in Italia, ma qui si studia nelle scuole come lingua straniera. Ci sono scuole di Italiano ad ogni angolo, tra cui la riconosciuta Dante Alighieri.
Gli Italiani hanno seminato ovunque, sono indubbiamente un popolo di emigranti, ma ad oggi se devo pensare ad un popolo dove gli Italiani hanno fatto crescere la loro cultura al di fuori dei confini del Paese, e' quello argentino.
Con evidenti infusioni spagnole, ma anche tedesche e indigene, gli argentini conservano le caratteristiche salienti degli italiani. E le hanno mantenute nella cucina, nella musica e nella personalità.
Non mangiavo il vero GRANA PADANO da 11 mesi. Ieri l'ho trovato e ne ho staccata una scaglia da una forma del diametro di una sequioia. Dal panettiere si trovano tutti i tipi di pasta, all'uovo e di grano, pane e pizzette, pizzettine e foccaccine. alle quali leccornie hanno aggiunto le empanadas, delle specie di panzerotti ripieni di carne di vacca, di pollo o prosciutto e formaggio.
La metà del peso culturale del Tango è originaria dall'Italia. I nomi dei maggiori compositori di musica a partire dai primi anni del Novecento fino all’età d’oro, quella degli anni '30 e '40, Aníbal Troilo, Juan D'Arienzo, Carlos Di Sarli ,Osvaldo Pugliese, Francisco De Caro, sono tutti figli d’italiani.
Alcuni nomi di strade e quartieri richiamano parole italiane, come ad esempio Palermo (che tuttavia non prende il nome dal capoluogo siculo) e ora il fiume rosso ha ramificazioni ovunque, ma l'epicentro, o la sorgente, se di fiumi stiamo parlando, e' in La Boca, una delle zone più caratteristiche della città, per i suoi colori e le lamiere curvate che ricoprono le pareti.
Racconta un fotografo ( che vende delle foto meravigliose lungo Caminito, la via principale de La Boca) che le lamiere venissero poste sulle pareti delle case per imitare le baracche napoletane, che, tuttavia, erano ricporte di lamiere, perchè altrimenti rubavano le pietre.
Se da un lato l'approccio con le persone è una scenetta che si ripete, dall'altro ancora una volta mi trovo a confrontarmi con le mie origini, con la mia cultura e la sua diffusione nel mondo.
In Un anno in otto ore c'è un capitolo che si intitola Viva l'Italia, potrei riscriverlo per Buenos Aires, ma una cosa è fondamentalmente diversa: la cultura Italiana a Sydney ha un sentore di surrogato, di copia, di imitazione. Per esempio, banalmente, le patatine al gusto basilico, con la bandieruola dell'Italia sull'angolo del sacchetto, o la piazza Dante Alighieri, in Leichhardt, con i palazzi Milano, Palermo, Roma e Firenze, in colri pastello completamente fuori contesto, mi avevano lasciato un po' perplesso.
Mentre quello che di italiano c'è in Buenos Aires è una evoluzione, una continuazione, una miscela. Nei testi delle canzoni di Tango, per esempio, ci sono anche parole Guarani, una lingua degli indigeni Sud Americani.
L’Italia, oltre che come fonte di tradizione letteraria classica, a fine ‘800 entrò in maniera preponderante ed incisiva nella vita argentina attraverso le vie degli uomini e delle loro migrazioni. Esse furono così massicce ed «ingombranti» a livello sia sociale sia culturale che la risposta delle élites intellettuali argentine a questa situazione fu l’affermazione della cultura popolare quale fulcro della identità nazionale che stava formandosi: questo processo si concretizzò nella letteratura gauchesca, riscrittura colta della tradizione poetica di derivazione rurale. (tratto da http://www.latinoamerica-online.info/2008/letteratura08_fornasier_patat_it.htm a questo link interessanti recensioni su L’Italia letteraria in Argentina attraverso le riviste di Buenos Aires di primo Novecento)
In altre parole mi viene facile paragonare la storia dei popoli italiano e argentino dall'800 ad oggi alla storia di due fratelli. Un resta, l'altro va. Quello che va mette nella valigia le cose più importanti. Durante il viaggio verso Benos Aires perde la valigia. E cerca quello che conteneva nella città. Niente sarà uguale, l'uso e il valore delle cose, quello si.

da Wikipedia
La Boca è un quartiere di 46.494 abitanti della città di Buenos Aires, Argentina sulle rive del Riachuelo, fiume che divide il territorio della Capitale da quello della provincia di Buenos Aires. Deve il suo nome al fatto di sorgere all'imboccatura (boca) della confluenza del Riachuelo nel Río de la Plata.
È la sede della società
polisportiva Boca Juniors che deve la sua fama soprattutto alla sua sezione calcistica. Al tempo coloniale La Boca era una zona di grandi baracche per gli schiavi neri ma, alla fine dell'Ottocento, fu popolata soprattutto da immigranti italiani che le hanno dato l'aspetto attuale.Gli abitanti della Boca (e i tifosi della sua squadra) si definiscono ancora come Xeneizes (deformazione della lingua ligure di "zeneixi", vale a dire genovesi nella lingua di Genova) la quale origine era quella prevalente nella Boca.
L'artista più noto della Boca è il pittore
Benito Quinquela Martìn, che sempre ha rappresentato nelle sue opere scene di vita quotidiana del porto.Il quartiere è famoso per "Caminito", una via con case colorate e mercatino dell'artigianato. Le case venivano dipinte dagli abitanti del luogo con le rimanenze di vernice usata per le chiatte da trasporto merci che transitavano nel Riachuelo e negli anni questo è diventato un motivo di attrazione per i turisti.

Sunday, May 17, 2009

Eraclito

di J.L.Borges

Eraclito cammina per la sera
di Efeso. La sera lo ha lasciato
senza che la sua volontà lo decidesse
sulla riva di un fiume silenzioso
il cui destino e il cui nome ignora.
C'è un Giano di pietra e qualche pioppo.
Si guarda nello specchio fuggitivo
e scopre ed elabora la sentenza
che le generazioni degli uomini
non lasceranno cadere. La sua voce dichiara:
Nessuno scende due volte nelle acque
dello stesso fiume.
Si sofferma. Sente
con lo stupore di un orrore sacro
di essere anche lui un fiume e una fuga.
Vuole recuperare quel mattino
e la sua notte e la sua vigilia. Non può.
Ripete la sentenza. La vede stampata
in futuri e chiari caratteri
in una delle pagine di Burnet.
Eraclito non sa il greco. Giano,
dio delle porte, è un dio latino.
Eraclito non ha ieri nè adesso.
E' soltanto un artificio che ha sognato
un uomo grigio sulle rive del Red Cedar,
un uomo che intesse endecasillabi
per non pensare tanto a Buenos Aires
e ai visi amati. Ne manca uno.
.

Un sabato a Buenos Aires

L'argentina ha una differenza di fuso rispetto all'Italia di 5 ore. Ma gli argentini hanno il loro fuso personale e traslano di qualche ora la parte del giorno da vivere. Quindi ci si sveglia più tardi e si vive di più la notte.Io mi sono adeguato.
Mi sono svegliato alle 2 pm.
Ho fatto colazione e sono uscito.
Destinazione Porto Madero.
E' il vecchio porto con una serie di caseggiati in mattoncini rossi che delimitano una sponta del fiume marrone. Sull'altra sponda gli edifici sono più recenti e svettano grattacieli ancora in costruzione.
Tirava un forte vento scompigliacaepelli, ma la bella giornata di sole aveva invitato molti porteñi a fare un giro con i pattini, la bici o la canoa.
Uno dei ponti che collegano le due sponde e' del famoso architetto Calatrava.
Il nome dell'opera è Puente de la Mujer e fu inaugurato il 20 dicembre del 2001, nel picco della crisi economica e istituzionale argentina. Per questo l'inaugurazione passó inavvertita dalla maggioranza degli abitanti


Questo e gli altri sono interessanti perchè possono routare su un enorme perno per permettere alle navi di attraversarli.
Dopo aver passeggiato un po' mi sono addentrato in un quartiere limitrofo. Era deserto. Solo cartacce in volo e negozi chiusi. Vento intubato lungo le strade e i soliti immancabili cortei di taxi.
Ne ho preso uno. Destinazione Malba, museo di arte moderna.
Per arrivarci abbiamo percorso l'Avenida del Libertador, passando di fronte alla Casa Rosa, a sede centrale del potere esecutivo della Repubblica Argentina.
Al Malba ho visitato diverse mostre, tra le quali mi hanno colpito quella fotografica di Manuel Alvarez Bravo, un messicano che politicizzò molto le sue opere.
Una delle sue foto più famose, Obrero en huelga, asesinado (Lavoratore in sciopero, assassinato) raffigura un corpo insanguinato, steso a faccia in su sotto al sole


Davanti ai quadri di Fernando Bolero, invece, sono scoppiato a ridere.
Sono tutti ciccioni, con dei pidini minuscoli, come se avessere spremuti i piedi per farli gonfiare-

Ho trovato bellissimo il quadro di Tarsila do Amaral
Dove e' successo esattamente il contrario. Il tipo si e' spremuto troppo le meningi e si e' ritrovato il cervello nei piedi.
Uscito dal museo sono andato a passeggiare in Avenida Santa Fe, una delle principalia rterie commerciali della città e mi sono fermato in una gastronomia per comprare un pezzo di Grana Padano, che non mangiavo da 11 mesi.
Poi ho cercato di recuperare le informazioni per andare nel quartiere Caballito, alla festa di un'amica, ma tutti mi davano informazioni diverse, facendomi camminare avanti e indietro. Ho cominciato a sospettare che mi stessero manovrando in un assurdo gioco.
Alla fine sono salito sul 92 ma anche il conducente era parte del gioco, infatti mi ha fatto scendere in un quartiere lontano almeno 30 blocchi da Caballito.
Non ne potevo piu`di camminare ed ho preso un taxi.
Arrivato in Garcia Lorca 35, ho suonato e mi sono ritrovato in questa festa dove non conoscevo nessuno e nessuno voleva conoscere me.
La festa era in un appartamento al piano terra, con giardino privato, chiuso da muri di edera. Fotografie esposte alle pareti, un paio di quadri e vestiti. Melina e`stilista per cui aprofittava della festa per proporre i suoi capi.
Poi una serie di bande e solisti si sono susseguiti in performance musicali e di danza.
Torte non mi pare ne abbiano tagliate, in ogni caso io non ho fatto gli auguri a nessuno.
Non so se era una festa di compleanno.
Non so niente
Non chiedetemi niente.
Voglio andare a casa.

Wednesday, May 13, 2009

entonces

enchufe, tomar quenta, apagar, todavia, ....
ñ, ç, ¿¿¿¿¿¿ ¡¡¡¡¡¡
¡dario!
¿quien sabe?
So, are you all right?
¿que pasa?
Pensavo di venire domani.
Tomate algo
Entao
Ablar, falar, parlare, speak.
Basically I have been speaking four languages in the alst 11 months,
English is ok.
I can speak fluently and understand pretty much everything.
I had time to get use to it.
In South Africa everybody speaks English.
Then I went to Malawiu where people living in the countryside cannot speak english but I would say that most of the population can speak English.
Then I drove down to Mozambique.
E ho dovuto lasciare il mio Inglese alla frontiera.
Non lo parla nessuno.
In Mozambico si parla il portoghese.
Qualche parola la conoscevo ma la similarità con l'itlaiano rende possibile la comprensione.
Non che si possano fare intere conversazioni in portugano, ma ci si arrangia.
I ragazzini dell'orfanatrofio in cui sono stato erano abituati a sentire parlare italiano perchè il frate fondatore e molti volontari sono proprio italiani.
Cammina cammina arrivo in Sod Africa.
So I can speak English again.
The zulu have a very strong accent. Sometimes they sound like Italian. T,r, w are very strong sounds.
Anyway..let's go on.
Durban, Capetown, Simonstonw...
Still English.
The Heraclitsu crew...English everywhere a part from a few words and jokes with Federica.
During the crossing we started to do some Portuhues class to get ready for Brasil, where they speak Portugues.
And as soon as we landed ho dovuto cominciare a falar Portuguese.
Porque l'Ingles no es multo conocido.
No se si estoy escribendo correcto, tambien porque agora soy en Argentina y acca se abla Espagnol y talvez me confundo.
Yo ablo un idioma nuevo que est una mescla de español, italiano, portuguese. Y Ingles tambien porque quando niun me ented yo ablo Ingles.
And I hope somebody will understand.
Entonces est un vero burdell.
No intiendo todo todo todo, todavia posso ablar, comunicar y cantar.
Que barbaro!
Boludo.

Friday, May 8, 2009

Colectivos



In Argentina si chiamano COLECTIVOS. Autobus.
A Buenos Aires sono tantissimi. Sono dei veicoli variopinti con le ruote cromate e qualche altra rifinitura luccicante. Spesso le ruote hanno un tubicino che entra nel perno, pare che siano i freni ad aria compressa (io pensavo fosse una specie di sicura nel caso la ruota decidesse di andare da un'altra parte). Hanno i numeri scritti sopra il parabrezza e riportano la destinazione, le fermate o i quartieri principali che attraversano lungo il loro percorso. Le fiancate riportano un nome, una parola che sembra scritta a mano, con il pennello. La pubblicità sulle fiancate e`rara, più spesso qualche slogan sul retro.
All'interno non sono molto diversi da tutti i bus che ho visto finora, ma hanno i sedili imbottiti, comodi. Talvolta c'e' della musica e il conducente sembra inghoittito nel buio del suo posto come se fosse un dj alla consolle.
Si paga sempre e solo una volta saliti a bordo ed occorre avere le monete.
Le monete sono scarsissime in città, per ciu talvolta ci si trova nella condizione di non poter prendere l'autobus perche`non si hanno monete.
La monete valgono di piu`per il peso del metallo che per il loro potere d'acquisto. E quindi spariscono dalla circolazione.
Comunque, quando si hanno le benedette monete si può salire sull'autobus, comunicare al conducente la propria destinazione perche`possa programamre il distributore a seconda della tratta da percorre e far pagare il relativo biglietto. A quel punto si possono infilare le monete e ricevere l'eventuale resto e il biglietto. Un piccolo tagliandino di carta molto sottile. Non un lenzuolo di cartone costato la vita a sette sequoie
Spesso i conducenti non aspettano che tutti quelli che devono salire siano effettivamente a bordo. Partono, con le porte aperte. Qualche impavido sale al volo. Le vecchiette devono urlare. Gli altri aspettano il prossimo. Tutti in fila dietro il primo, sul ciglio del marciapiede. Non si aspetta mai più di 5 minuti, nemmeno di notte.
Talvolta ho visto file di autobus uno dietro l'altro, tutti con lo stesso numero. E' incredibile. Vai alla fermata e sali. Sempre.
I conducenti guidano in modo abbastanza spericolato e brusco e all'interno occorre stare sempre attaccati a qualche palo, ma non ho ancora assistito ad un incidente. Le strade sono larghe e tutte a senso unico, esclusa qualche Avenida. La pianta della città e`un reticolo di strade perpendicolari e parallele e tutti gli incroci sono regolati da semafori.
Alla miriade di bus fanno seguito migliaia di taxi. Gialli e neri.
Un viaggio in bus costa 1.25 pesos. 25 centesimi di euro.
Un viaggio medio in taxi costa 10 pesos. Un paio di euro.
Un viaggio in metropolitana costa 1.10 pesos. Poco più di 20 centesimi di euro.
Potere dell'euro a parte, si va ovunque con rapidità, comodità ma soprattutto a qualsiasi ora.
Nessuna delle persone che ho incontrato ha un auto propria.
O per lo meno non l'ha ancora usata. Non per spostarsi in città.
Non so se l'Argentina sia ancora considerata Terzo Mondo.
Di qualsiasi mondo sia parte, e` uno da cui bisognerebbe imparare. Quantomeno a gestire i trasporti urbani.

Thursday, May 7, 2009

Senza parole



Traduzione: AD USO DI PERSONE BIANCHE. QUESTI LOCALI E LE LORO ATTRAZIONI SONO RISERVATE AD USO ESCLUSIVO DI PERSONE BIANCHE.

Foto scattata al Museo District Six di Città del Capo.
Ripeto, MUSEO.
Chiedo sucusa a Martin Luter King.
Chiedo scusa a Nelson Mandela.
Chiedo scusa io, per chi non lo fa. Per chi non sa nemmeno chi sono.
Se i problemi, effettivi e reali che siano, si risolvono così ...
Qualche mese fa ero proprio in Sud Africa. Pensare al Sud Africa e' un inevitabile richiamo all'apartheid. Ci sono alcune parole che sono troppo piccole per il loro significato. Olocausto. Desaparecidos. Schiavo. Pena di morte. Sono piccole. Nel momento in cui si riesce a fare esperienza diretta del loro significato assumono proporzioni talmente grandi che e`il pensiero a diventare piccolo per contenerle.
L'immensità di apartheid l'ho sentita. Vista, toccata. E' ben lontana dall'essere roba solo da museo. E' ancora attualita', seppure non in termini di legge. Il governo sta varando leggi per cercare di arginare gli effetti che ancora si trascinano, nei tempi piu`brevi possibili. Per esempio ogni 15 dipendenti e' obbligatorio assumere un nero. E' vero, non sono dello stesso livello dei bianchi, per il semplice fatto che non hanno avuto lo stesso diritto e accesso all'istruzione, ma ci vuole tempo e questo e' un segnale verso il cambiamento.
In Italia si percorre la stessa strada. In senso opposto.
Sono senza parole.
Piccole e grandi.

Friday, May 1, 2009

... e città

Si era infilato in un autobus. Il 140. Si era il 140. Non era nemmeno sicuro che fosse quello che l'avrebbe portato a casa. Ma non aveva importanza. Era appena uscito da un bar doveva aveva consumato delle birre e un po' di se stesso. Non aveva voglia di camminare. Aveva camminato tutto il giorno tra carta sporca, muri scrostati, tra saracinesche chiuse di case in vendita. Voleva solo tornare a casa e magari provare a dormire.
Dormire.
Per tanto tempo.
L'autobus stava percorrendo una larga via luminosa a senso unico.
Vedeva solo luci rosse dei fanali posteriori e i palloncini gialli lungo i marciapiedi.
Enormi manifesti pubblicitari e insegne luccicanti lunghissime.
Le strade erano tutte perpendicolari e parallele per cui ad ogni incrocio poteva sbirciare per qualche istante lungo i corridoi di vetture. Luci bianche. Luci rosse. Luci bianche. Luci rosse.
E gente.
Piccola gente.
Passanti, passeggeri. Negozianti della notte.
E qualcuno, fermo, all'ombra dimenticata di un albero che non vuole nessuno.
La vede, tutta questa roba. Lui.
La vede.
La città. La vede come una macchina che pulsa, come un'entità che vive.
Non ci aveva mai veramente pensato a questa cosa.
Alla città come un essere, non come qualcosa composto da uomini, animali e cose. No, la città, come se fosse un cuore. Tum...Tum...Tutum...
Pulsa. A ritmo.
Ogni città ha un suo ritmo, una sua pulsazione.
Napoli.
Prendi la sua architettura, il suo mare, la sua gente. Le sue canzoni. Trita tutto e metti in una pentola a bollire.
Non assaporerai nè gente nè palazzi. Solo Napoli.
Parigi.
Roma.
NEW YORK.
Tum tum tum tum.
Che ritmo ha New York?
Berlino.
Le città hanno un'anima.
Automobili, preservativi, volti giganti, boccette di profumo omaggio frantumate contro i grattacieli. Bolle di sapone. Immondizia.
Terrore e sirene blu.
Dormono tutti. Eppure c'e' sempre qualcuno che la guarda.
Che la vive.
Che ascolta una canzone sperando che la luna non scenda.
C'e' sempre qualcuno che balla.
Che fa l'amore.
Che uccide.
Città del Capo, Blantyre, Lilongwe, Durban, Rio de Janeiro, San Paolo, BUENOS AIRES.
Buenos Aires.
Lui era a Buenos Aires.
E sapeva che stava percorrendo le arterie di quella città. Sentiva l'odore del sangue, ne vedeva il colore rosso. Lo sentiva scorrere. E pulsare.
Se gli uomini avevano fatto qualcosa di bueno, avevano inventato l'anima.
E l'avevano messa nei colori di un quadro.
E in tante cose.
Ombrelli verdi sotto la pioggia, riflessi di rotaie di metallo. Chiodi ruggine. Foto in bainco e nero scattate di nascosto.
E città.