VIAGGI, PENSIERI, EMOZIONI
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Wednesday, December 23, 2009

Chacachacare Expedition




Questa e' una bella storia, appena riesco te la voglia raccontare.
E' una delle storie di Natale, o dell'Antiviglia di Natale.
Del mio Natale lontano.
Dentro una bottiglia di acciaio.
Delfini al tramonto con le pinne spezzate dal vento
Scarpe scompagnate.
E passi di nessuno, pioggia che spacca l'oceano, e onde perfette contro le scogliere.
Specchi per pescatori della domenica
Soli e mai soli.
Sanno stare con il mare.
Quanto vorrei non avere una barca pronta per partire
Non ora, che avrei nelle parole il rifugio perfetto per stare con te.
Che sia buono il Natale che sei

Friday, December 11, 2009

Thursday, December 3, 2009





Panet Water Expeditions, the R/V Heraclitus and crew of ‘Coral Sea to Black Sea Expedition 2006 – 2011’ presents a photographic and artistic exhibition in Trinidad & Tobago, entitled: “ Expect the Unexpected” from Dec 10th to Dec 14th 2009.

The exhibition seeks to diffuse the idea of the ethnospheric expedition started in Australia in 2006; and develop a creative educational and informational instrument represented and only made possible by the existence of a floating laboratory where art, philosophy and creativity are constantly in-action.

As a creative tool the exhibition seeks to explore the possibilities of the mind starting from a suggested image with a related quote by Heraclitus, the Greek philosopher.
Heraclitus was famous for his doctrine of change being central to the universe, summarized in his famous quote, "You can not step twice into the same river." He believed in the unity of opposites, stating that "the path up and down is one and the same," existing things being characterized by pairs of contrary properties

A selection of full colour and black and white photos shot by different crew members will be showed as highlight over life at sea, life in a community, cultures, people encountered and the vessel itself. Each of the photos will be linked and presented with one of Heraclitus’ enigmas.

Art installations and theatre performances will be presented during the happening

Photographers
FEDERICA CHIMENTI, Italy
CRAIG INGLIS, United Kingdom
JULIANA LABRANA, Brasil
DARIO SORGATO, Italy

Where:
Peake Yacht Services
Lot 5 Western Mn. Rd
Chaguaramas
Trinidad&Tobago, West Indies

When:
Opening event
for GUEST LIST only. Please RSVP with SMS or email
thur 10th Dec 2009, 5.30 to 8.30 pm
Open to public
11,12,14 Dec 2009, Working hours

A project managed by Dario Sorgato

Friday, November 27, 2009

Incrocio



(Altre foto...
http://rogosdraiato.spaces.live.com/ )



Era il 60 anniversario dell’Indipendenza la prima volt ache ho camminato lungo il viale che ne porta il nome. Port fo Spain era deserta. Striscioni e ghirlande bianche rosse e ner adobbavano le facciate dei palazzi e le vetrine dei negozi. Ero arrivato da un paio di giorni a Trinidad e Tobago.dopo 3 settimane di navigazione in mare aperto e una passeggiata in una citta’ che sembrava senza anima ha reso piu’ morbido l’impatto con il cemento, i fast food e il rumore di motori e clacson.
All’angolo tra Queen e Frederick Street, ai piedi della spettrale cattedrale della Santa Trinita’, c’e’ il chiosco di Keeda, un mio amico.
Ha 50 anni, pantaloni super atillati, scarpe lucidissime, coppola e canottiera bianca.
Ha un sorriso non proprio smagliante ma sicuramente interessante, convincente e simpatico.
Quantomeno non ha incisivi d'oro come molti dei ragazzi qui intorno.
Ha sei figli.
Ha vissuto pe molti anni nel Bronx, negli Stati Uniti. Cospargeva gli edifici con una resina ignifuga.
Un giorno si e' stancato di sparare plastica liquida contro pareti di cemento ed e' tornato a casa.
Ora ha un chiosco in centro citta', in una delle vie piu' trafficate di Port of Spain e vende magliette, canottiere, scarpe Prada e pantaloni Polo Ralph Lauren. Tutto rigorosmaente falso ma ad un prezzo quasi vero.
Riesce a mandare avanti la famiglia.
- Quanto sono in affari sono molto serio.
Dice.
E' vero.
Sta eduto all'angolo opposto alla sua baracca e guarda la sfilza di manichini e mezzibusti che ha disposto con cura davanti all'ingresso. Una televisione ad altissimo volume trasmette un film.
Keeda mi ha regalato un DVD della gara internazionale di Steelpan. Tipico strumento Caraibico.
Veedre un centinaio di persone suonare questa pentola luccicante che emette un suono metallico e dolce e' emozionante anche in video. Non oso immaginare dal vivo.
Keeda e' orgoglioso di mostrarmi il folklore della sua nazione. Il Carnevale di Trinidad e' paragonabile a quello Brasiliano.
Di domenica, in quell'angolo di strada non succede niente. Passa qualche matto posseduto da Haile Salassie I, qualche vecchio imbottito di Rum delle Barbados e un tipo a dir poco nero che vende i sassi del sesso.
Durante la settimana e' un'esplosione di India mista a Cina e Africa. Henry Strett diventa un crogiolo di 4 continenti. Incensi e pollo fritto si mescolano alle banane e alla marijuana. Tutto in qualche centinaio di metri.
Un tipo dorme steso per terra. Forse e' stanco ma suppongo sia ubriaco marcio.
Io cammino, compro un paio di mutante verdi a righe blu, una camicia sgargiante.
Compro un paio di pantaloncini a quadri. Non mi piacciono molto, ma mi servono.
Talvolta mi sale una gran voglia di comprare.
Ma non mi sono mai rpeso un gelato o un caffe'. Non li trovo.
Compro una birra. Anzi due, ne porto una a Keeda. Beviamo insieme, mentre gli racconto chi sono e a quale mondo appartengo. Gli racconto il mio angolo di strada. La finestra su Via Ampere.
Il matto della citta' e tutte le vite che si sfregano le spalle al mercato del giovedi.
Le vedi tutte le vite vissute all'angolo di una strada vendere CD o DVD?
Io si. Mi piacciono, alcune.
Mi piace come Keeda dispone i manichini, li veste e li sveste. Impugna le caviglie e il sedere perfetto di una donna di celluloide. La rivolta, la veste e la sveste. Gli piace mostraer alla strada quello che vende.
Non passa nessuno.
Poco male per una domenica d'inverno bollente.
Il suo spirito africno continua a splendere nel retro bottega.
Chi lo sa lo vede. Lei aveva visto





Thursday, October 29, 2009

Local Culture

Un uomo steso sul marciapiede ad ogni angolo...ogni angolo.
Le mutande comprate all'altro angolo.
All'ambulatorio del dottore tutti quelli che entrano urlano buongiono ..e tutti rispondono ... buongiorno.
65 pazienti...65 volte.
Alle 8 si prega tutti insieme, ovunque, senza distinzione di religione.
Non ho capito cosa dicono, ma prega tutta la nazione.
Otto in punto. Tutti in piedi. E' ora della preghierina.
La spazzatura non si butta nei cestini.
Non ci sono.
Sulle spiagge... non ci sono.
Al lunedi le spiagge nei pressi della citta' sono delle discariche
Lo spazzino si chiama...mare.
Piove tutti i giorni dalle 12 alle 15.
Le donne sono splendide.
Spesso sono un icnorcio di africa e India.
Occhi slanciati, zigomi definiti, labbra prominenti.
Il fisico....perfetto o doppio, anche triplo.
L'accento locale e' qualcosa del genere : De bic is someding i like a lottt.
Difficile da scrivere e anche da capire.
Il reggae e' una religione.
I dreadlock sono l'hairstyle piu' diffuso.
E via discorrendo. Sono di guardia tra poco

Friday, October 23, 2009

Carte Nautiche


In questi giorni ho riorganizzato e archiviatto tutte le carte nautiche a bordo.
Ci sono carte della Thailandia, dell'Australia...
di tutto il mondo.
Con scale diverse...
E quindi mi sono imbattuto anche in una carta che ritrae un atollo delle Maldive dove qualche anno fa Heraclitus ha gettato l'ancora.
Mi e' capitata in mano la carta CapeTown to Rio de Janeiro che riporta i punti nave della traversata di inizio anno.
e poi Simonsotown in scala 1:5000 ovvero con dettagli della banchina dove abbiamo eseguito le riparazioni.
Sud America, Sud Africa, Oceano Indiano, Pacifico del Nord e del Sud...tutto nelle stive.
Mar dei Caraibi, Nord Atlantico e Mediterraneo, a portata di mano....
E quindi passo da un pacco all'altro Madeira, Azzorre, Canarie, Spagna...fino a che mi imbatto in un BARCELLONA ROMA. Mi stava scoppiando il cuore in petto...
Ma sono svenuto quando ho aperto la mappa nella foto qui sopra.
STRETTO DI MESSINA...
si legge Torre Faro, Sant'Agara...
Casabianca.. no ...ma so dov'e'....
E subito dopo...Mare adriatico, con Mestre, Venezia, San Dona'...
Arrivo... piano piano...ci arrivo....
Un saluto a tutti gli amici Sicialiani e Veneto.Padovani

Juju...





Monday, October 5, 2009

Perche', per cosa e per come.

Viaggio. Pausa.
Terra, mare, pausa.Terra. Pausa.
Sono di nuovo in unsa sorta di pausa.
Heraclitus rimarra' ancorato a Chaguaramas, vicino a Port of Spain, per almeno 3 mesi.
A bordo siamo 5, presto potremmo essere 4.
Pochi buoni amici marinai, ma pochi.
Essere in pochi significa meno uscite, piu' lavoro, piu' tempo in cucina, piu' turni di guardia, meno riposo, piu' spazio, piu' silenzio.
Questa pausa e' in qualche modo forzata dalle condizioni metereologtiche stagionali e dalle condizioni della barca. Ovvero siamo in piena stagione uragani e il Golfo di Paria e' l'ultimo posto sicuro prima di procedere verso nord. Al mattino alla radio si ascoltano annunci del tipo
"Si raccomanda di tenere sempre in casa una riserva d'acqua e scatolette".
La baia dove siamo ancorati e piena di barche, pescherecci, navi che, come noi,aspettano.
Heraclitus, nel frattempo, ha bisogno di alcune opere di manutenzione, nonostante il recente drydock in Sud AFrica. Prima di affrontare il Nord Atlantico occorre revisionare il motore e i due generatori, ripristinare il ssitema di batterie che e' completamente fuori uso, pulire lo scafo, riparare il ponte, ecc...
Con l'occasione di questa pausa nel viaggio mi prendo un po' di tempo per ricomporre qualche pezzo, per me e per chi legge, con lo scopo di chiarire i dubbi ed eventualemte aprire un dibattito in merito sulle scelte di vita.
Sono convinto e contento di quello che sto facendo ma riconosco che sia uno stiule di vita un po' lontano dagli schemi e quindi criticabile.
Ma non sei stanco? Ma come ti mantieni? E cosa farai dopo? Cosa stai facendo? Quale e' lo scopo di questa scelta, della spedizione?
Quali altre domande? Se ne hai, questa e' l'occasione per farle a me e forse a te stesso.
Saro' lieto di rispondere o quantomeno di confrontarmi con i miei stessi dubbi.
Ho delle risposte, talvolta inconsistenti, ma credo nell'idea, nello stle e quindi le difficolta' presentiu e future diventano risolvibili. Situazioni piu' che problemi.
Provo a fare un quadro della situazione, senza pretese esaustive.
Ripeto, sarei felice di confrotarmi con il pensiero di chi legge. Per rimettermi ancora in disucssione e di conseguenza motivarmi ulteriormente o rivedere alcuni passaggi.
Ho lasciato l'Italia il 16 giugno 2008, quindi quasi 16 mesi fa. Un tempo piuttosto lungo per un viaggio, relativamente breve per una scelta di vita. Ci sono emigrati che sono partiti 40 anni fa e mai piu' tornati.
Ho nostalgia della famiglia, di casa, degli amici, dell'Italia, dell'Europa. del formaggio, della pizza, delle tagliatelle fatte in casa. della mia cultura, della mia lingua.... ma non posso permettermi di andare avanti e indietro in aereo, anche per il fatto che ora sono in qualche modo vincolato da certe responsabilita'.La barca non puo' mai essere lasciata con meno di 4 persone a bordo per cui occorre organizzare per tempo le libere uscite di medio e lungo periodo.
Cio' non significa che non me ne possa andare quando voglio, ma a questo punto subentra una questione di rispetto per i miei compagni e per la barca stessa. Credo nel progetto e nel sogno che rappresenta per cui non mi sentirei moralmente in grado di abbandonare tutto e tutti senza considerare le conseguenze.
In altre parole ora devo e voglio stare dove sono. Con tutto quello che comporta. Nontante la stanchezza quotidiana mi ritrovo alla sera a cucinare davanti ad una stufa bollente ma se guardo fuori dall'oblo' vedo il mare, vedo luci di barche, rflessi acquatici e e il peschereccio degli indonesiani che ci regalano tonni di 20 chili. E penso che non ho nulla di cui lamentearmi.Mi piace. Sono un romantico e talvolta mi basta rendermi conto di dove sono e perche' sono in un certo posto per dimenticarmi di tutto cio' che rende difficile il quotidiano.
No, non sono stanco.
Sono stanco alla sera.Sono stanco perch'e non dormo mai piu' di 5 ore di fila.E addormentsarsi sapendo che dovrai svegliarti nel cuore delle notte per una ronda sul ponte, non e' sempre rilassante. Tuttavia e' indispensabile.Uno dei prezzi da pagare per viaggiare per mare su un grosso veliero.
No, non sono stanco. Sarei stanco senon avessi i miei libri, la mia musica,la possibilit'a di guardare un film.Ma posso fare tutto. Per guardare un film devo collegare casse, amplificatore, DVD player, e forse dopo 20 minuti e' tutto pronto.Se comincia a piovere devo mettere in pausa, chiudere tutto e terminare la visione dentro una sauna.Questo stanca.
Ma non sono stanco di quello che sto facendo. Se lo fossi , forse, sarei stanco di vivere. Ho scelto di viaggiare, ho scelto di essere questo. Saro' stanco solo quando avro' finito.
Finito cosa?
Di possedere questa idea. Ma non ora.
Ho gia' poubblicato un post
http://paroleincammino.blogspot.com/2009/03/per-saperne-di-piu.html
dove spiegavo cosa e'Heraclitus e a quali altri progetti e legato. Saro' lieto di rispondere a qualsiasi interrogativo.
In breve ricordo che Heraclitus e' un progetto del PLANET WATER EXPEDITIONS, una serie di spedizioni realizzate in 35 anni dal varo ad oggi. A sua volta questo progetto e' legato agli altri realizzati e seguiti dall'Institute of Ecothecnics (vedi sito). Il medesimo istituto ha relaizzato il progetto Biosphere 2
http://en.wikipedia.org/wiki/Biosphere_2
Non e' questo il momento per dilungarmi nello spiegare cosa sono i progetti e come funzionano.Voglio solo inviatare ad una riflessione su quello che implicano anche solo per la lo portata storica e planetaria.
Essere parte diun progetto di larghe vedute, lungimirante e ideologicamente interessante mi ha portato a conoscere moltissime persone interessanti dal punto di vista umano e culturale. Negli ultimi mnesi ho letto piu' libri che negli ultimi 10 anni. Sto studiando altri modi di pensare attingendo innanzitutto dalla fornita biblioteca di bordo.
Heracllitus non e' una barca per crocere o vacanze. Si lavora tantissimo ed e' una scuola.Di vita sociale e di cultura. Alcuni momenti ed aspetti possono essere non condivisibili. Sono il primo a dirlo. Ma l'idea vince.
Se sono ancora a bordo e' perch'e sento che non ho finito di imparare e forse se Capitan Claus, Christine e Eddie sono a bordo da oltre 10 anni non e' solo perche' amano il mare.
Io non sono certo fatto per fare il marinaio, ma sento che oltre alle migliaia di porti di possibili esisotno migliaia di onde e migliaia di uomini.
So che alcune delle cose che dico o scrivo nel blog potrebbero suonare come luoghi comuni o frasi fatte.
Nella maggior parte dei casi non e' cosi'.
Sono altrove.
Se scrivo e' anche perche' voglio provare a comunicare questo mondo, non solo di cultura e viaggio, ma soprattutto di tipologia di pensiero.
Alcune delle cose che dico, faccio, scrivo, non possono essere completamente comprese. E' come se io cercassi di capire cosa si prova ad essere donna. Oppure, piu' semplicemente e' come se provassi ad immaginare cosa si prova a lanciarsi col paracadute.
Lo immagini. Lo puoi vedere alla televisione, ma non sai.
Non sai fino a quando non ti lanci.
In questo senso alcune scelte o idee stonano se estrapolate dal contesto.
Tipo.
Lavorare senza guadagnare soldi.
Per un italiano nato e cresciuto in Italia e' difficle accettarlo.
Italia e' occidente, capitalismo, stile, lusso. Denaro.
Italia e' Anche Taormina e per mangiare una pizza a Taormina ci vogliono soldi.
Ci vogliono soldi per curarsi, per mangiare, per andare a trovare un amico, per telefonare.
Ci voglono soldi per molte cose.
Tuttavia molti meno di quanti pensi.
Molti meno.
Siamo pieni di bisogni indotti, di cose che servono perche' ci fanno credere che servono.
Io ne ho eliminate molte.
Vivo con poco, ogni tanto mi fermo per lavorare (vedi Argentina) e mi mantengo con quello che ho.
Finche posso vado. Poi....
Poi potro' andare a lavorare in uno degli altri progetti dell'Istituto
Potro' andare a fare l'architetto in Guatemala, potro' andare a lavorare all'orfanatrofio in Mozambico, potro' andare a lavorare in Irlanda...posso fare un sacco di cose...tutte possibilita' incontrate nell'ultimo anno.
Non le faccio perche' posso non farle e perche' ora non voglio.
Non ho paura di rimanere senza cibo. Sono fortunato... e non perche' conti su qualcuno. Conro solo su di me.
Non ho paura di morire perche' sto vivendo.
Non ho pura e quindi sono libero.
Tuttavia non farei il muratore o non lavorerei in un cantiere navale nemmeno per un'ora se non per uno scopo piu' lungimirante. Se lo faccio per l'Heraclitus e' per passione e come investimento in un altro futuro. In qualche modo si potrebbe considerare quello che sto facendo come una scuola. Un investimento sul sapere, ma soprattutto sull'essere.
A questo punto subentra la personalita'.
A me interessa essere un uomo migliore, mi interessa conoscere le emozioni, il pensiero, la mente.
A qualcuno potrebbe non interessare nulla. Come a me non me ne frega assolutamente nulla di calcio, di automobili, o come non mi interessano molto i libri di fantascienza, i film d'azione....
Gusti, scelte, passioni, stili...chiamali come ti pare, ma non sta scritto da nessuna parte che quello che fa la maggioranza e' giusto.
A tal punto io sono arrivato a mettere in discussione che non sia necessario accumulare denaro...
E se ti capita qualcosa?
Ma cos'e' quel qualcosa? se mi rompo una gamba ci vogliono 5000 euro al mese per tirare avanti, se mi viene un ictus non bastano 10000. Quanti ne devo avere per essere sicuro che qualsiasi cosa mi capiti sono coperto?
E quindi anche in questo caso subentrano altri livelli di pensiero che non posso spiegare in un post su internet, se non semplificando al punto di dire che la vita stessa, i rapporti interpersonali, la percezione degli individui e dei loro modi di fare sono tutti su un altro piano e quindi a mio avviso la cosa migliore da fare e' indagare, conoscere e scegliere, esprimere un'opinione, senza giudicare.
Credo che quello che sto facendo, in termini di viaggio, di confronto con l'infinito dell'oceano, di vita comunitaria in uno spazio ristretto, di apprendimento (come cuoco, elettricista, falegname, muratore, marinaio, fotografo, scrittore, musicista, creativo....) non possa essere contemplato con gli stessi parametri con cui si osservano sistemi piu' convenzionali.
Io non so quale sia il migliore, ma onestamente non mi interessa, perche' credo che il meglio sia solo quello che e' tale per noi stessi.
Quando saro' stanco, e lo saro', ovvero quando non avro' piu' energie per godere di quello che ora mi esalta, prendero' una pausa, piu' o meno lunga, ma anche in quella pausa spero di essere quello che sto scoprendo ora. E con la stessa convinzione spero di potermi confrontare con le difficolta' che forse, lo ammetto, in qualche modo sto fuggendo. Ma anche in questo caso, perche' la chiamo fuga? Sarei in fuga se non volessi tornare, se non potessi tornare, sarei in fuga se qualcosa o qualcuno mi rincorresse.
Niente di tutto questo, solo una profonda amarezza nell'aprire le pagine del quotidiano nazionale e vedere che il tempo non scorre. Vedere che mentre io sento il mondo nella stretta di mano con un pescatore, mentre io, proprio nella semplicita' della vita degli uomini trovo l'immensita' del pianeta che la globalizzazione ha reso piccolo, quello stesso mondo visto dai grandi occhi di chi lo guarda per noi, marcisce.
Forse da questo fuggo.
Tra storie lette, viste, vissute, ascoltate e sognate, ne ho tante. Ho nomi, luoghi e idee.
Se trovo un posto dove fermarmi, esploderanno.
E tu, che stai ancora leggendo, e magari ti chiedi cosa faccio e perche' faccio, prova a pensare che per scrivere questa storia, questa pagina, questo post io ho dovuto scrivere qualche pensiero su carta, trascriverlo su un pc di un internet cafe' in mezzo alla citta' mentre scappavo dalla lunga fila d'attesa dal dottore. Poi sono andato da dottore e mentre attraversavo la citta' a piedi, mentre stavo seduto sul furgongino che mi riportava alla marina con la musica fastidiosamente ad alto volume, io pensavo a queste righe ed ora sono al pc dell'hotel della marina, con l'acqua alla gola perche' tra 13 minuti mi vengono a prendere eppure scrivo, Scrivo perche' so chi leggera'. Qualcuno riflettera' su queste idee. E se riesci a figurarti tutto questo, questo giorno, questa storia, forse ci troverai una sottile vena di poesia, nel vedermi correre da una parte all'altra con la febbre nelle mani. Sto lavorando, e ancora non mi paga nessuno.
Sto lavorando macinando pensieri e trasformandoli in parole nel modo migliore possibile.
Lo faccio per passione.
Lo faccio perche' qualcuno, come te, leggendo questa storia pensera' alla propria.
Anche se molti mi scrivono piu' o meno in privato, che invidiano quello che faccio e i posti che visito e via discorrendo, forse vale la pena di fare un paio di conti e senza salti nel buio o decisioni drastiche, semplicemente prendere coscienza di quello che si e' di quello che si fa e di quello che si dice.
E' questo quello che faccio e sono.
Vivo.
Pensare che anche la vita possa essere ricondotta ad un sistema di entrate e uscite e' riduttivo e spaventoso. Al contempo pragmatico. Solo una questione di scelte.
Spero che quasliasi riflessione venga pubblicata nei commenti a questo post.
Non inviatemi email personali. Non per questa storia
Un abbraccio a tutti.

Domani cambiamo ancoraggio. Ci spostiamo a Scotland Bay per alcuni giorni.
Forse riusciro' a far funzionare il mio nuovo numero di cellulare che al momento non riceve sms dall'estero....
1 868 7163346. (Credo senza il +)
Il numero italiano non funziona
In ogni caso tonero' on line in una decina di giorni dovrei riaffacciarmi on line

Monday, September 28, 2009

Con le mani nei capelli



Ho la barba lunga. Molto lunga.

Fa caldo e ogni tanto mi prude. Spesso ho la mandibola protesa in avanti, mi gratto e penso che presto tagliero’ tutto.

Durante una passeggiata a St .James, piccolo paese poco lontano dalla baia di Chaguaramas, ho visto l’insegna che fa per me.

Barber Salon.

Salgo le strette scale, lastricate di mattonelle azzurre ed entro in quella piccola stanza piena di luce.

Il vento muoveva i pizzi delle tende che delimitavano l’apertura della finestra. La televisione ad altissimo volume invadeva l’aria pelosa.

Le luci fluorescenti ai lati dello specchio erano accese, ma ne’ quelle ne’ il giorno bastavano ad illuminare le facce nere dei due barbieri. Un grosso ragazzone e un vecchio.

Il vecchio era concentrato sulle macchine elettriche e non credo abbia nemmeno alzato gli occhi per vedere chi stava entrando.

La poltrona davanti allo specchio era libera.

Mousi mi fece cenno di accomodarmi. Aveva un pettine in mano.

Mi abbottono’ una fascietta bianca intorno al collo e poi un mantelo nero.

Zac zac.

Ah no, le forbici non servono, voglio una testa rasata, ormai non ho piu’ capelli e quelli che crescono crescono grigi.

Il ronzio della macchinetta si avvicina alle mie orecchie e sento il suono dei piccoli peli tranciati dalle lame elettriche.

L’aria della stanza e’ mossa da una grossa ventola di alluminio, ingabbiata come un grande uccello. Un cartello sopra l’orologio di legno ricorda che il regno dei cieli e’ vicino, che dobbiamo riconoscere i nostri peccati e prepararci alla nuova vita.

Un quadro appassito sorpa lo specchio. Il vecchio dice che e’ bellissimo. Forse l’ha guardato per tutti i 26 anni che ha trascorso li’ dentro, con le mani nei capelli della gente. O forse quella casa lungo il fiume e’ quella che avrebbe sempre sognato.

Mousi non dice nulla. E’ concentrato sulla perfezione della barba che mi vuole disegnare intorno alle labbra, intorno alla faccia. Taaglia i peli uno alla volta con una lametta stretta tra le dita.

Percepisco i peli tagliati. E’ un taglio preciso.

Ha lacrime tatuate sotto l’occhio e una croce divina. Dietro alla sua sagoma grande e scura un quadro pieno di teste rasate, di sculture di peli e disegni sulle nuche.

L’arte dela rasatura, titola il quadro.

Forbici, pettini, e un gioco di specchi nel quale ogni tanto mi perdo.

Mi piace potermi guardare senza fretta, una volta ogni tre mesi. Senza potermi muovere. Mi guardo dall’alto in basso e vedo che i miei occhi sono italiani. Mi piace scorpire di nuovo il mio volto, quello che avevo nascosto sotto tutto quel pelo. Mi piace sentire la precisione del metallo sui piccoli peli, la freschezza dell’acqua spruzzata sulla mia faccia. Mi piace l’alcool che brucia dentro i pori per pochi secondi,

E quel pennello, che mi spazzola la faccia, non era nelle mani del cuoco che solo un attimo fa spenellava di olio i pomodori dentro la TV?

Mi piace ripercorre i miei tagli di capelli, ordinare le rasature in una graduatoria che non ho ancora stabilito e mi vedo seduto davanti ad uno specchio. Un uomo che non ho mai visto mi mette le mani in testa. Gilson avrebbe paura, Eddie non lo sopporterebbe e per me, andare dal barbiere e’ diventato un rito, un evento speciale, un momento per guardarmi come non faccio mai perche’ non ho mai bisogno di specchi.

Qualcosa di semplice, per qualcuno settimale o mensile, e’ diventato un modo per scorpire la gente, farsi raccontare una storia.

Quella dell’Apartheid, seduto sulla poltrona di quel barbiere mezzo Italiano di Citta’ del Capo. La musica a tutto volume e l’aria calda dentro la capanna sul ciglio della strada di Quelimane, in Mozambico. La storia della famiglia di Adriano, il barbiere di Avenida Lacroze, nel quartiere nord di Buonos Aires.

E quell’ometto rotondo, con la faccia da giocatore di bocce della domenica al circolo sociale, con la voce da infante, un po’ tirolese. Era a Curitiba, nella stradina parallela a quella verso la casa del mio amico. La strada era coperta di pioggia. Era sera. Era gia’ buio. C’era un ragazzo seduto sulla poltrona. E io non volevo aspettare.

Avevo fretta di starmi a guardare


Doldrums




Scrivono canzoni di mare e di sapore di sale.
Lo vedono arrivare da lontano, nessuno sa da dove.
Comincia nel vento?

O laggiu’, laggiu’, laggiu’.

Lo senti l’eco di questo deserto vuoto?

E quella nebbia non era quello che chiami silenzio?

Quel velo d’argento, rotto da pinne di un mondo sommerso.

Sono lacerazioni senza dolore.

La ninna nanna non si ferma.

Nella culla del mondo io dormo.

Dormo

Dormo come un bimbo che ha gia’ assaggiato l’amore.

Lo trova in sogni che non ricorda e ha di nuovo profumo e colore

al primo tocco e settimo rintocco.

E’una giostra che gira.

Odo soltanto perfezione e mistero, contemplo senza spavento.

E fremo.

E tremo.

Mi attacco con i denti a frammenti di certezze che sfuggono e forse tra qualche giorno approdano.

Che forma avrai, nuovo mondo?

Ne’ pesce ne’ fiore.

Sei solo la terra.

Ancora, terra.

Quella che in fondo ho sempre amato.

In fondo.

Ci sei.

Ogni tanto riaffiori

E galleggi sopra i kilometri d’acqua che mi sono divertito a volare.

Senza paura, ma senza poter nemmeno guardare

Essere soltanto volo

Senza ali ne’ vertigini.

Eppure sospeso.

Quassu’.

Dove non posso nemmeno cadere

Posso solo morire.

Ed essere quel tuo movimento, tuo respiro.

Quello che sono riuscito a far diventare gesto del mio essere

Al contempo un’onda

Una stella

Un blocco di cemento

E tutto quello che ho cominciato

La prima volta che ho pianto

E stavo solo dimenticando.

Ho scritto queste righe ispirato da una poesia di Walt Whitman e dalla calma di qualche giorno di doldrum.

Non so quale sia la traduzione italiana per doldrum. Si tratta della ZONA DI CONVERGENZA INTERTROPICALE (ITCZ) che sta nord dell’equatore per tutto l’anno, anche se la posizione varia di molto a seconda dei movimenti stagionali del sole, ma anche nelle diverse ore del giorno. La larghezza e’ variabile ed e’ mediamente di 200 o 300 miglia.

Questa particolare condizione climatica, geografica, nautica... e’ stata un momento interessante del viaggio appena concluso, dal Brasile a Trinidad e Tobago, da Croata’ a Chaguaramas, poco lontano da Port of Spain.

Il 30 agosto, alle 11:40 abbiamo levato l’ancora dalle sabbie del delta del Rio Parnaiba.

A bordo gli otto membri dell’equipaggio e Fininho, un pescatore della zona che ci avrebbe pilotato fuori dalla foce. Senza di lui sarebbe stato impossibile uscire dalla baia senza arenarsi in qualche banco, perche’ le carte nautiche invecchiano da un giorno all’altro. Le maree spostano ernormi masse di sabbia e solo chi entra ed esce costantemente con la barca e’ al corrente delle profondita’ dei fondali.

Mentre svolgevamo le operazioni di manovra per levare l’ancora a mezzo miglio da noi galleggiava la canoa di Sio Ze’, con a bordo Antonio e Dona Luisa, i custodi dell’isola.

Un’anziana signora, madre di nove figli vissuta tra sabbia e capre per oltre 70 anni, salutava la barca nera che per 30 giorni aveva riempito la cornice della sua finestra, rispondendo alla quotidiana domanda:

Verranno oggi?

Qualche volta qualcuno andava da lei, a portarle un dolce, a prendere il pesce o a giocare a domino.

Per tutta la vita ha visto soltanto piccole canoe di legno di pescatori della zona, ha visto gamberi dentro le reti. Ed ora, da un futuro che aveva smesso di pensare e da un passato che aveva smesso di avere, e’ riemersa una barca di storie e giorni e sorrisi e abbracci.

Addii.

Fininho era appollaiato sopra la vela di mezzana, cercando di individuare in anticipo le zone di acqua bassa. Con la mano sinistra indicava al capitano la direzione da seguire, piu’ o meno a dritta, piu’ o meno a babordo.

La marea si stava alzando, perfettamente calcolata a nostro favore. Avevamo studiato in anticipo i tempi e gli orari delle maree in modo da essere sopra il punto piu’ basso in coincidenza con la marea al massimo livello. L’indicatore di profondita’ era ed e’ un po’ sballato e quindi non completamente affidabile. Erano sicuramente piu’ valide le grida di Eddie, aggrappato alle corde dell’albero maestro.

- Vedo una zona di acqua piu’ scure, 7 punti a dritta.!

Fininho sapeva quel che faceva, Eddie era allerta e il Capitano aveva il controllo generale, cercando di icrociare tutte le informazioni a disposizione

- Michelle, profondita’?

-7.2

- Dario, segna un punto nave e dimmi la profondita’ sulle carte?

- Roger....6.5

- Roger

-Juju, angolo del timone?

- 3 a dritta

-Roger, vai 5 a dritta.

- 5 a dritta....5 a dritta attivato.

- Roger

- Gilson, prepara l’ancora.

- Roger.

-Juju, cosa indica la bussola?

- 275

- Roger, vai a 280 e dammi un mark.

- Roger. ....280, mark

- Roger, segui questa rotta.

- Roger.

L’eccitazione e’ sempre alle stelle quando approcciamo o lasciamo terra. Adrenalina mista a concetrazione, tensione mista a stupore.

Fininho pensava, osservava.

Solo quando ha percepito che eravamo fuori dai banchi e’ sceso dalla sua postazione sopraelevata ed ha abbracciato tutti, felice di essere riuscito a portarci fuori senza probelmi.

- Ok, gettare l’ancora.

L’inconfondibile suono della catena che esce dal buco di metallo invase tutta la barca. Le virbazioni metalliche si spinsero fino alle punte delle mie dita. Le vidi tremare mentre scrivevo sul diario di bordo.

Ancora gettata alle 14.35 al largo di Tutoia.

Un abbondante piatto di pasta al ragu ci aspettava in Synestesia. Poco dopo Eddie stava azionando il motore del gommone legato a babordo, pronto per riportare Fininho a riva.

Il resto della truppa aspettava nuovi ordini.

Il mare era abbastanza mosso e il giorno volgeva al tramonto.

Anche se Eddie era di ritorno in meno di un’ora era troppo tardi per le issare le vele.

Avremo passato la notte ancorati in quel mare agitato, in balia del vento e dell’immediato destino.

Soltanto 8 marinai, di cui due alle primissime armi.

Se mi fermavo a pensare che stavamo per partire per un viaggio di 1500 miglia avvertivo scariche di tensione che anche se provavo a concetramri su altro, rimanevano involontariamente tra le vene, destinate a scaricarsi o a sedimentare sotto strati di pelle salata e bruciata.

Il giorno dopo, all’alba, eravamo tutti pronti.

La colazione era stata servita alle primissime luci e l’ancora e il sole si alzarono contemporaneamente.

Il mare era ancora agitato. Soffiava un vento di oltre 30 nodi, come da previsioni, ma non avevamo piu’ alcuna possibilita’ di scelta. Avremmo dovuto issare le vele quanto prima possibile per stabilizzare la barca che stava sballontando da tutte le parti quasi ingovernabile. I boccaporti erano tutti chiusi, le cime srotolate e l’argano pronto.

- Dario, vai al timone!

- Roger.

-Dario, cosa indica la bussola?

- 180.

- Ok, vai a 190.

190 era la direzione del vento. Avrei dovuto cercare i mantenere la barca quanto piu’ nel vento possibile, in modo da facilitare le operazioni per alzare le vele.

Il rollio e beccheggio rendevano difficle stare in equilibrio, ma con fatica riuscivo a mantenere la barca in rotta. Stavamo navigando verso la costa per cui avremmo dovuto terminare prima di avvicinarci piu’ di 2 miglia. Tutto a dritta, 10 a babordo, 30 a dritta.....

Stato.... dua.... tiga, urlava Eddie sul ponte, cercando di dare ritmo.

Le vele si alzavano lentamente, ma quasi ininterrottamente. I 4 che giravano l’argano erano a pochi metri da me e io potevo seguire tutta la scena dal boccaporto della cabina comandi.

A meta’ mattina Gilson suono’ i 4 rintocchi dell 10.

Le 3 vele bianche erano infilate nel cielo come lame nella carne.

Iniziavano i turni di guardia.

Addio Brasile.

Ervamo in rotta per i caraibi e tutto poteva ancora succedere.ochi giorni dopo eravamo nei pressi della foce del Rio delle Amazzoni. Osservavo le carte nautiche e sentivo una forte emozione nel vedere che stavamo costeggiando uno dei fiumi piu’ grandi del mondo, che stavamo lasciando il Brasile, approcciando l’equatore e le coste della Guyana, del Suriname, .... Era tutto un po’ irreale.

In fondo io vedevo solo un orizzonte piatto, onde e cielo. Ma a poche miglia da me c’erano altri mondi, nuovi mondi. Un uccello appollaiato sul parapetto portava qualche sapore di terra.

Eravamo a distanza di un volo, a distanza di passero.

Enormi pesci nuotavano a dritta per ore ed ore, in un sadico gioco al limite della battaglia.

Un enorme Maimai abbocco’ alla lenza di Eddie.

Eddie avvolgeva ilmulinello e il capitano era pronto ad agganciarlo con l’uncino, ma la forza con cui il pesce voleva sopravvivere spezzo’ la lenza e nello stesso istante in cui noi avevamo perso la preda lui sentiva di nuovo la liberta’.

E poi i delfini, innumerevoli e giocosi, saltavano a prua a tutte le ore del giorno. Delfini di diversi tipi. Sentirli urlare, e ridere e rimbalzre dentro e fuori dall’acqua e’ uno spettacolo che non stanca mai.

Delfini, tonni, e calma piatta.

Tramonti, albe, cene e candele.

E niente.

Pensieri e qualche momento difficle tra i marinai di una truppa che non sempre e’ facile tenere insieme.

Oceano infinito e piccolo mondo nero.
Piccolo spazio per tutto l’immenso di quello che posso sentire.

E storie, che tengo strette dentro, e quando comincio a raccontarne anche e solo qualcuna mi ritrovo gia’ di nuovo a terra.

Tra piattaforme petrolifere che incendiano la notte. Le vedi. Sono come citta’ in mezzo al niente della notte.

Le fiamme enormi, le luci elettriche. E tutte le storie dell’oro nero sono li’, a bruciare a poche miglia dala mia rotta.

Sono al tirmone da piu’ di tre ore.

Hanno bisogno di me.

Devo provare a non addormentarmi. Devo tenere gli occhi sulla bussola, sull’indicatore del timone. Devo cercare di non andare troppo a zig zag, per non confondere le altre navi.

Ho sete, ma sono sempre sul filo teso della felicita’, consapevole che questo cielo di stelle e’ anche per me.

E quelle luci sono di terra. Non sono stelle ne fiamme.

Un’altra citta’.

- Ehi, Dario, vedo qualcosa nel Radar che non dovrebbe essere li’.

- Che faccio? Cambio rotta?

- No, non ora, se vai a dritta strambiamo, il vento e’ gia a sei punti.

- Roger.

In pochi minuti la cosa scura sul radar era sopra, o sotto, di noi. La macchia della barca e la macchia sconosciuta si sovrapposero e in quel momento comincia a sentire un suono di cascata.

Era una corrente fortissima. Io ero al timone e non potevo vedere niente, ma guardando la bussola mi resi conto di quello che stava succedendo. Non potevo piu’ governare la barca. Si era infilata nella corrente e stavamo andando verso la costa a piu’ di 3 nodi.

- Gilson, aziona i mori

- Roger.

Appena sentii il rombo il capitano mi ordino’ di azionare la marcia e di ritornare alla rotta che stavo seguendo. Nel frattempo sul ponte stavano mettendo le vele in mezzadria. Vento a sei punti.

Nella notte attraversammo lo stretto della Bocca del Dragone, che divide Trinidad dal Venezuela.

Alle 9 del mattino del 20 settembre stavamo gettando l’ancora nella baia di Chaguaramas, dopo un viaggio che ha qualcosa di storico.

Equipaggio ridotto, dal Sud America al Centro America, dopo 6 mesi in Brasile, attraverso l’equatore, Terra di vecchi amici e di marinai del passato, per continuare questa spedizione che dal mare dei coralli al mare nero prima di tutto vuol conoscere l’uomo.





Tuesday, September 22, 2009

Trinidad & Tobago

Il 20 settembre 2009 alle 9 del mattino abbia gettato l'ancora poco lontano d aPort of Spain, nel Golfo di Paria, in acque di Trinidad e Tobago, caraibi.
Scrivero' presto per raccontare l'esaltante, inteso, duro viaggio di tre settimane dal Brasile ai caraibi.

Friday, August 28, 2009

Sono qui

Guarda la mappa

Aveva una piccola vela triangolare piena di vento, quella barca.
C´erano sei uomini.
Uno era in piedi sul bordo e sosteneva la vela, orientandola per sfruttare la massimo il vento.
io era seduto sulla prua della piccola barca metallica che mi stava portando in citta´.
Alzai il braccio in un gesto di saluto.
Di riflesso sei braccia si alzarono. Non aspettavano altro che un segno, volevano salutare.
Le mani incollate alle assi di legno avevano un movimento scritto dentro. Aveva cominciato a scriversi nel momento in cui avevano sentito il rumore del motore.
Osservai quella piccola vela bianca disegnata in quel pezzo di fiume con la precisione della faccia di un re stampata su una moenta.
Mi lasciavo bagnare la mano da gentili spruzzi di acqua e sale
Mare nel fiume, sopra la sabbia, sopra pochi metri di acqua.
In quei pochi miuti eprfetti riuscii a ripensare ad una notte intera. Non tanto agli episodi, alla successione esatta degli eventi. E´tutto giá successo e non e´necessario che accada di nuovo.
Ripensai alla violenza, allíntensitá e a tutto quello che sono destinato a custodire con la sola speranza che sia tutto riflesso, uguale e contrario dentro di lei.
Ora, mentre scrivo la piccola cittá sembra riposare dopo il baccano del primo mattino.
Auto con casse a volume esagerato che diffondevano messaggi pubblicitari, musiche di vario tipo, voci, pesce, banane.
Sono in un posto cosi´piccolo che devo andare spesso a controllare se esiste davvcero.
E´piccolo perché e´circondato da sabbia, dune immense. E acqua bassa.
Maree infinite.
Per fare 100 chilometri ci vogliono 3 ore.
Ho la sensazione che sia difficile andare da qualsiasi parte. Lungo. Faticoso.
E anche se ci sono i negozi, i bar e dei piccoli garage trasformati in ristoranti, e´tutto lontano. Lontano.
Lungo.
Eppure in questa cittadina di qualche migliaio di abitanti c´e´una succursale della facoltá di filosofia di Sao Luis.
Filosofia.
Pare che qualcuno che sta al governo del Brasile abbia capito che il mondo e´mosso dalle domande e non dalle risposte e abbia addirittura reso obbligatorio studiare filosofia in tutte le scuole.
Questa storia me l´ha raccontata Netto, figlio di Dona Luiza, la custode dell´isola.
Con quella faccia da pescatore e lódore di mare piú spesso della sua maglietta, non mi sarei mai sognato di chiedergli se sa chi e´Eraclito.
Lo sapeva.
Lo sapeva meglio di me. L´ha studiato un paio di domeniche fa.
....il mondo e´mosso dalle domande...
Anche dalle mie?
Se le mie domande spingono il mondo allora da domani i giorni saranno piu´brevi

Friday, August 21, 2009

Drums calling Drums


from
http://latestnewsfromthervheraclitus.blogspot.com/


We Just finished our daily drumming class leaded by the crew member Augusto when in the silent sharp light of the early Saturday afternoon of the delta of the RioParnaiba, a shrimps fishing boat started moving towards Heraclitus. The approach was sound tracked by the loud beats of Maracatu and Ijexà drums.
Two local groups of drummers and dancers, Boi Dominante and Caroço de Dona Elza, where coming to play on board of the black ship. I was watching the scene from the beach of Croata and I had immediately the feeling that something powerful was happening. The water of the sea mixed with the river became the stage of a cultural exchange. The air was fulfilled and soon the red deck was overloaded with ladies in coulurful dresses, children and drummers.
After the guests visited the ship the show started and Dona Elza and Dona Elisa started singing and dancing telling the stories and legends of the local culture. The joyful atmosphere invited immediately to a coral dance and the crew and the bands mixed their movements around capstain and hatches.
After a few songs a new dancer overtook the stage: a bull, representing a legend of the local tradition. It was dancing ina really particular way, moving all around the shining cloths. An unusual instrument made with crocodile skin and a rubber stick was reproducing the sounds of the bull moo.
As soon as the queens concluded they performances, we agreed to show how between watches, duties and explorations we learned how to play percussions. One, two, three, four. Capitain Claus started to play the agogô, a doucle bell of the candoblé tradition. Then the all crew joined the maracatu and Ijexá rhythm, playing the three candomblé drums, named according to the decreasing size, Melê, Biancor and Ian, a couple of djambé and the Agbê, a shaker made with a cabaça (gourd) and a net of beads.
We ended playing some songs all together, dancing, singing or just talking and laughing till we exchanged some presents as a memory of this intense moments. They gave us some CDs and DVDs of local bands, Brilho do Delta, Bumba-Meu-Boi Mscunâ, Bolizinho Precioso, one of their big maracatu drums and a Xequerê, a shaker similar to the agbé.
We gave a signed picture of Heraclitus and moved by theier kindness Xtine decide to offer the agbé she made on the voyage from Salvador to Natal.
By sunset the 30 guest where on board of their blue and orange boat and they started making theier way back Tutoia with the same energy the brought on board: loud sounds and brasilian rhythm while the sun was gently hiding behind the cocunat trees offering its daily show in this untouched paradise.

Stuck in the mud! Infangati!




Da ormai tre settimane la barca di cemento e´ancorata nel delta del Rio Parnaiba, poco lontano dal piccolo villaggio di Tutoia, di fronte all´isola di Croatá.
L´isola e´di proprietá di un amico dell´Heraclitus, Manno.
Manno ha mosso i primi passi della sua vita sulle spiagge di Croatá. Ha vissuto fino all´étá di 3 anni in una capanna sulla spiaggia e sua sorella e´nata sull´ísola stessa. Manno e famiglia vivevano nel modo piu´semplice che si possa immaginare, senza nemmeno usare abiti di alcun tipo. Erano gli unici abitanti dell´isola. Oggi Manno ha 30 anni e da allora non e´piu´tornato. Ne´lui n´s suo padre sono piu´tornati a Croata´.
Manno ha messo piede sulla spiaggia dove ha imparato a camminare dopo 27 anni ed e´arrivato sull´isola a bordo dell´Heraclitus.
Sull´isola c´éun´unica costruzione di pietra. Una casa bianca. La casa di Dona Luiza.
Dona Luiza e´stata incaricata di curare l ´isola e di farne mantenere l´íncontaminata bellezza, in cambio Guillerme, padre di Manno, le ha offerto la possibilitá di stabilirsi nell´isola, allevando capre, maiali e asini.
L´isola e´un punto di appoggio per molti pescatori che vivono sulle spiagge appendendo qualche amaca, accendendo qualche fuoco.
Il 31 Lulgio 2009 Manno e Dona Luiza si sono incontrati di nuovo, in qualche modo per la prima volta.
Io camminavo dietro a Manno mentre ci avviavamo verso il punto piu´scenografico per ammirare il tramonto. Sotto il suo cappello bianco teneva racchiusi i passaggi di questa storia e la sensazione di una nuova colonizzazione. La tomba del bisnonno e´ancora in discrete condizioni, nascosta tra le piante del selvaggio entroterra. Eppure se per quasi 30 anni e´rimasta dimenticata ora potrebbe essere tempo di darle nuova vita, pur con la consapevolezza che ormai i veri proprietari sono il paesaggio, il tempo, i pescatori, il fiume e le maree.
Croatá forse non e´né di Manno né di Dona Luiza. Forse appartiene alla sabbia. Ai milioni di piccoli granchi che si nascondono sotto il fango.
E piu´che di appartenenza sarebbe opprtuno parlare della sensazione di selvaggio niente che trasmette questa terra.
La storia che le appartiene e´uno scenario perfetto per appoggiarvi la sensazione di mondo perduto. L´enorme disco infuocato che scompare la sera dietro le palme o dietro gli alberi dll´Heraclitus, le sue incandescenze riflesse sulle pighe dellínterminabile spiaggia che la marea libera due volte al giorno, la terra crepata delle pozze di fango seccate dal vento, le impenetrabili mangrovie, i serpenti, gli scorpioni, le spine, sono tutti attori di un piccolo pianeta appoggiato sull´acqua, circondato dalle miglia che ho navigato per arrivarci e viverne la storia e scrivere le prime pagine di quella che e´appena cominciata.
In queste settimane di sosta, prima di avviarci verso i Caraibi, in questi ultimi giorni in Brasile, dopo averne navigato quasi tutte le latitudini, a ridosso dell´equatore, abbiamo esplorato le piante, la geologia, le maree, la topografia, abbiamo mappato i punti di interesse per eventuali pozzi, costruzioni.
Le ipotesi per il futuro sono partite tutte da una sorta di accampamento che abbiamo usato come base per gli spostamenti nell´éntroterra, ma in ogni ipotesi e operazione e´prevalsa la sensazione che la natura fornisca giá il necessario. L´ombra, i rami per appendere le amache, la legna per il fuoco.
Tuttavia il futuro e´l´único tempo non ancora presente. Appare leggero sotto strati di limo, ma la sensazione piu´forte e´stata quella di esserci.
Io e Juju abbiamo deciso di abitare l´ísola anche di notte e di farla nostra almeno per un giorno.
Al calar della sera abbiamo lasciato l´Heraclitus e ci siamo addentrati nella foresta per dirigerci verso l´áccampamento. L´alta marea impediva di cricumcamminarne le rive.
Il sole era giá quasi all´órizzonte, nella sua veloce corsa equatoriale. Io e juju cercavamo di orientarci seguendo l´ínclinazione delle poche ombre visibili. Graffi sulle gambe, spine sotto i piedi e il terrore dei serpenti hanno segnato il percorso fino al´láccampamento.
Gli ultimi istanti di luce sono bastati per raccogliere legna e fissare le amache ai rami.
Abbiamo afferrato vino, olive e crackers per anfdare a godere il tramonto.
Alcuni pescatori rientravano dopo una giornata di lavoro e ancoravano le barche prima che fosse notte. L´énorme luna che era salita a oriente la prima volta che eravamo stati sull´isola non si fece vedere nemmeno per un sorriso e le tenebre di un cielo stellato avvolseto la sabbia, le palme e i tronchi sulla riva. Solo il vento e un paio di luci lontane ricordavano che era poissibile una direzione.
Rientrammo al campo e accendemmo il fuoco per consumare pane formaggio al chiarore delle fiamme. Il calore arrivava solo di striscio, sipnto velocemente lontano da noi.
Io e juju ci raccontammo emozioni, vite diverse e per lungoi tempo non c´era cosa migliore da fare che godere della notte, di quel posto, della natura selvaggia sotto fronde di rami e di stelle.
La sabbia alzata dal vento si era infilata in ogni fessura possibile e il desiderio di un bagno in mare era l´último prima di andare a dondolare tra i rami.
La marea era al suo minimo, ma sapevamo che poco lontano c´éra un banco di sabbia dove l´ácqua era solitamente profonda abbastanza per potersi bagnare. Ci avviammo verso il banco di sabbia ma l´óscuritá ne rese difficile individuarne la posizione.
Cominciammo a camminare sul limo e fango sperando di incotrare almeno una pozza per immergersi. Non camminammo che per una decina di minuti quando Juju mi disse.
Dario, siamo perduti.
Io non vedevo assolutamente nulla e lei non trovava piu´alcun riferimento.
Riusciva a malapena ad individuare gli alberi sulla spiaggia, ma tra la spiaggia e noi céra una sorta di fiume. Ad ogni passo sprofondavamo nel fango e il terrore di incotrare sabbie mobili ci suggeri di non muoverci troppo.
Io cercai di ragionare, di fare il punto della situazione, mentre la sensazione di essere in pericolo si fece piu´fredda del vento che mi strisciava sulla pelle.
Mi strinsi a Juju e pensai.
Dovrebbe essre circa mezzanotte, la marea salirá tra 4 ore, ovvero prima dell´alba e se non trovo un punbto di riferimento non sapro´nemmeno in che direzione nuotare.
La cosa peggiore che potesse capitare era che avremmo dovuto aspettare il giorno li´, in piedi, con le gambe infilate nel fango, il vento freddo e una cortina di stelle che non avevamo guardato abbastanza per poterle usare a nostro favore.
Considerai la direzione del vento per provare ad usarla come orientamento, ma non era sufficiente per inviarmi a muovermi in alcuna direzione.
L´ídea di camminare nel fango e sopra un substrato croccante di granchi non mi convinse a muovermi se non dopo aver trovato qualche certezza.
Non trovai niente, né dentro né fuori e chiesi a Juju come si dice aiuto in Portoghese.
In casi come questo si urla Socoro.
Mi disse.
E comicnciammo ad urlare. Urlammo a scuarciagola sperando che qualche pescatore ci sentisse, Cominciammo ad agiare la pila in tutte le direzioni. Niente.
Non succedeva niente
Solo riflessi di millimentri d acqua e impronte nel fango.
Ad un certo punto le urla cominciarono ad infastidimi e chiesi a Juju di tacere.
Entrambi riuscimmo a mantenere la calma. Ma la calma non bastava per tirarci fuori da quel mare di fango.
Poi chiesi a Juju.
Vedi qualche albero?
Si
E perché non andiamo verrso gli alberi?
Perché tra noi e gli alberi ci sono piu´di 100 metri e in mezzo c´é una sorta di fiume. Se ci impantaniamo li in mezzo non ne usciamo piu´.
Ok.
Poi Juju suggerí di provare ad aggiare il fiume, camminando parallelamente per qualche metro.
Trovammo un punto con meno acqua e decidemmo di tentare di attraversarlo.
Si sprofondava quasi fino alle ginocchia, ma muovendomi rapidamente riusci a trascinare me e Juju su un punto dove la sabbia era piu´consistente.
Camminammo ancora verso terra e ad ogni passo in quel liquido vischioso speravo di appoggiare il successivo sulla sabbia solida.
Camminammo verso erra e ogni tanto Juju contava alla rovescia i metri che rimanevano fino a che percepii la sabbia sotto di me. Sabbia di spiaggia, sabbia asciutta
Non dissi nulla. Non avevo ancora ne´voglia né la forza di gioire.
Volevo solo arrivare alla mia amaca.
Abbracciai Juju, cercai di pulirmi i piedi ricoperti di fango con la maglietta e mi stesi tra i rami.
Non riuscivo a dormire. L´adrenalina socrreva nelle vene come droga e sentivo che anche juju era agitata. In m,eno di un´óra sentimmo una voce.
Era Gilson. Con lui cérano Eddie e Claus, il capitano.
Avevano sentito le mie grida e Gislon, brasiliano,. aveva capito immediatamente che ero io per come avevo pronunciato la erre.
Ed erano partiti in cerca di noi.
Avevano pensato alle cose peggiori, ma che io e Juju fossimo in mezzo al fango non era venuto in mente a nessuno.
Quando ci hanno visti sanie salvi, stesi nelle amache sono tornati alla barca, ripercorrendo la spiaggia e solo nel mattino ci confidarono la loro preoccupazione e potemmo cominciare a ridere sul lieto fine di una nuova avventura in un territorio sconosciuto.

Foto
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