VIAGGI, PENSIERI, EMOZIONI
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Friday, December 19, 2008

Dry Dock Ferewell

(taken from http://latestnewsfromthervheraclitus.blogspot.com/)

It has been an extraordinary time working in the dry dock here in Simon’s Town South Africa for the past eight months. For those involved, the project has been an Odyssey of trials, physically and mentally, filled with a plethora of emotions. There is no doubt that we could only have accomplished our goals without the unbelievable amount of support that was made available to us in the Naval dockyard. Our thanks go out to John Sutherland, Gerald Clark, Rear Admiral Louw, Captain Glen Knox and the South African Navy.

On a regular basis, workers from all over the dry dock; from the riggers and machinists to the crane operators, were only too happy to offer advice and help.

We came to know many fellow workers here and cannot thank them enough for all their help and friendship. We wish them all the best in their future endeavours.

John Sutherland of Armscor gifted a most beautiful plaque to the ship, at a reception for our sponsors.

Thank you once again; your hospitality will never be forgotten..

Angels




We could not have been here operating at the dry dock without the help of Benno and Rose Kopfer. The serendipitous meeting of them at the Cape Farmhouse Restaurant which they own http://www.capefarmhouse.co.za/, led to the most generous offer of accommodation for all the crew as their guests next to the restaurant. A close friendship grew between the crew and the family, and we shared many adventures. Being together for eight months the crew are sad to leave such good friends behind but know that we will see each other again, hopefully not to far in the future!Benno and Rose we wish you all the luck with your oasis at the Cape. Until the next time, and we thank you so very, very, much from all of us from the depths of our hearts.

Sunday, December 7, 2008

Yes we float






6 Dicembre 2008
South African Navy Dock
Simonstown
South Africa







Ondeggio.
Avanti e indietro.
Soffia un fortissimo vento, probabilmente intorno ai 40 nodi.
Una mezza luna accesa sopra il mare rischiara la baia, definisce le barche ormeggiate poco lontano, l’enorme nave militare dall’altra parte del molo.
Il rosso del ponte dell’Heraclitus si intravede nei riflessi.
Su e giu’.
Ondeggio da 4 giorni.
L’Heraclitus e’ tornato in acqua.
Lentamente.
Adagiato su una piattaforma di legno.
Come prima di un tuffo in piscina. Ti siedi sul bordo e infili un piede nell’acqua per testare la temperatura. Lo ritiri immediatamente. Pochi secondi dopo lo immergi nuovamente e lasci che il piede si abitui alla differenza di temperatura.
Poi infili l’altro.
Osservi i tuoi piedi sotto il pelo dell’acqua e disegni cerchi, figure.
Pensi.
Quello e’ un bel momento per pensare.
Piedi nell’acqua, voglia di un tuffo, pelle bollente.
Per l’Heraclitus e’ stato cosi’.
Dopo piu’ di 200 giorni fuori dall’acqua e’ tornado nel mare.
Scintillante, pulito, rinnovato.
Eravamo tutti a bordo, eccitati, gli occhi proiettati sull’enorme trattore che doveva trascinarci lungo le rotaie.
Nonostante la potenza del motore le ruote dei blocchi sotto la chiglia non volevano muoversi.
Cemento, sabbia, acqua, polvere, pittura.
Alcuni dei pezzi di metallo che tenevano assieme i blocchi poggiati sulle rotaie hanno ceduto. Un gruppo di operai del dry dock si affrettava a ripristinarli.
Dopo un po’ uno scossone ci ha costretti ad aggrapparci a qualche corda, a qualche barra di metallo per non cadere.
Ci stavamo muovendo.
Eravamo su un binario ma non dentro un treno.
Eravamo i 13+1 che hanno preparato l’Heraclitus per tornare nel mare.
Eravamo increduli.
Un incrocio di rotaie, movimenti e meccanismi ha spostato la barca sopra una piattaforma di legno e pochi minuti dopo abbiamo cominciato a scendere.
I piedi nell’acqua.
Ma era troppo fredda.
E cosi’ siamo tornati su.
Un’altra notte fermi.
Il tuffo e’ rinviato.
Tanto per cambiare, in nome di Heraclitus.
Il giorno dopo e’ quello buono.
Neinte piedi in ammollo.
Tuffo di testa,
Senza esitazioni.
E da allora si galleggia.
E’ incredibile, ma questo vascello rosso e nero, con un nome in poppa e due occhi in prua, galleggia di nuovo.
E l’abbiamo riposrtato in acqua noi,
Ora viviamo, mangiamo, lavoriamo in barca.
E’ la nostra casa e laboratorio,.
E’ il vascello che ci portera’ in Brasile,
La partenza e’ prevista per il 13 dicembre, ma inutile dirlo, tutto cambia.
Un bottiglia di vino appoggiata sul tavolo sotto il timone, che e’ anche la pedana su cui salire per manovrarlo.
Odo risate provenire dalla cucina. \
Qualcuno si sta sistemando la cuccetta.
Avanti e indietro.
Gioco di nodi, tensioni, scricchiolii, maree, banchine.
Ieri eravamo ormeggiati dietro un sottomarino, ma ci hanno costretti a spostarci per ragioni logistiche e di sicurezza.
Il capitano in piedi sul parapetto, aggrappato ai cavi d’acciaio che reggono l’albero di poppa.
Fede al timone. Eddie e Michelle alle cime.
Tutti pronti a spostare i parabordi dove occorre perche la barca non sbatta contro il molo.
Un’operazione delicata.
Questo vascello non e’ facile da manovare.
Eppure ha funzionato tutto alla perfezione. Credo.
E’ strano. Siamo circondati da marinai in divisa, navi militari e motoscafi della polizia.
Tra il bianco, il grigio e il mare ci siamo noi.
Che cantiamo canzoni prima della cena, beviamo vino e birra sul ponte, lavoriamo costantemente e proteggiamo le corde perche’ non si rovivinino sfregando contro il molo.
Abbiamo copertoni e cesti di vimini appesi lungo i bordi.
Siamo rossi e neri, siamo un mix abbastanza eterogeno di lingue e culture.
Siamo pronti a partire.
Ormai ci siamo tuffati ed e’ tempo di tornare a nuotare.
Talvolta provo a staccarmi dalla situazione e osservo con coscienza. Con precisione.
Provo a concetrarmi sul vento, sui passi che sento sopra il pavimento di legno nuovo di zecca.
Provo a ricordarmi che sotto di me c’e’ acqua e stive ancora asciutte.
Riordino la mia cuccetta sperando di avere tutto quello che mi serve per le prossime settimane.
Ho appeso qualche tessuto del Malawi e un paio di Batique del Mozambico.
Ho addobbato il moi piccolo mondo con l’Africa che sto per lasciare.
Ho comprato qualcosa da sgranocchiare, qualche medicina, un paio di libri.
Ho comprato penne.
E pagine bianche per fermare quello che non cambia,
Per registrare quello che non potro’ raccontare.
Magari mai.
Forse avro’ parole per il giorno del moi ritorno a terra.
Forse saranno dentro qualche bottiglia destinata a spiagge lontane.


Atre foto su

Monday, November 24, 2008

Un giorno violento

Risveglio torbido.
Sono vestito.
Stanotte non sono riuscito nemmeno a spogliarmi.
Mi sono trasferito dalla sedia in cucina al letto.
Gonfio.
Dopo una scorpacciata notturna rabbiosa.
Avevo ballato.
Sono invaso dalla violenza.
Sta succedendo qualcosa di emotivamente insopportabile.
Sono pronto.
Risveglio torbido.
Ad aspettarmi ci sono le parole di un amico. Giulio.
Un caffe'.
Dario, are you coming for shopping?
Yes
In pochi minuti, dopo aver costeggiato l'Oceano, mi ristrovo in un centro commerciale a riempire carrelli e borse con tutto l'occorrente per la traversata.
Ho detto bene?
Traversata Oceanica.
Non so se riesco a dirlo.
Si va dall'altra parte dell'Atlantico.
Con un vascello di cemento che, alla faccia degli increduli, l'abbiamo rimesso a nuovo.
Si va in Brasile.
Altro contiente,
Non e' solo una delle tappe,
E' unn cambio di mondo. Di vita.
Di elemento.
Dalla terra all'acqua.
Dall'Africa all'America.
Dal Sud Africa al Brasile.
Contineti e nazioni elencati comer paesi.
Come una lista di posti dove andare a fare la spesa.
Oggi vado dal panettiere, poi passo dall'ortolano e nel pomeriggio vado a trovare un amico.
Pensavo di andarci in elicottero.
Stasera, a cena, attorno al tavolo, noi.
13
Equipaggio dell'Heraclitus.
Muratori, fabbri, pittori e falegnami.
Marinai.
Si va.
Vado.
Vado a raggiungere le storie di questo tavolo. Di queste candele.
Vado a galleggiare sopra i desideri precipitati dal cielo.
Vado a sentire il vento.
A sentire ondeggiare il mondo.
Vado.
Il capitano si alza, e dice:
devo ancora trovare, se mai lo trovero', il modo per dimostrare la mia , la nostra gratitudine.
A questo posto.
A queste persone.
Siamo stati qui molto tempo, e so che non ci tornero'.
Prendiamo tutto, portiamo via tutto.
Eppure un equipaggio che vive in una fattoria tra le colline, tra due oceani, non se ne va senza lasciare tracce.
Le barche lassciano tracce di secondi.
Gli uomini eterne, talvolta.
Sull'acqua non ci sono impronte, ma su questa terra restera' la nostra storia.
Questo incredibile spettacolo inventato molti anni fa.
Vado.
Non credo che arrivare al di la' del mare sia da considerarsi una cosa estrema.
Estremo e' sfidare i limiti ragionevoli.
Forse spingersi oltre le normali o comuni possibilita' fisiche del corpo umano.
Io, da qui, riesco a vedere qualcosa di ragionevole, non in senso assoluto,
Ragionevole per me.
Me, in questo caso, e' composto da Dario e quella parte non biosferica che si chiama me stesso.
Eppure devo ammettere a me che non posso dimenticarmi dei rischi.
Dario e me stesso.
Ad entrambi riconosco dei rischi.
Niente e' privo di rischi.
E chi non rischia, forse, non vive.
Rischi del corpo
Costretto ad un movimento costante ed imprevedibile per almeno sei settimane. Affidato all'Oceano e alla fiducia verso altre 12 persone. Splendide e diverse. Non sempre facili.
Affidato ad un mondo di pochi metri. Quadrati, rossi, neri e bianchi.
Motore,movimento e sopravvivenza in uno spazio ristretto.
Sara' il pensiero a richiedere la maggior parte delle energie per vivere.
Il pensiero fara' vivere.
Pensiero, Anima, non so come chimarlo.
E' quella parte di Me che dovra' fare i conti con vento, onde, stelle. Cenere di stelle. Deserti d'acqua.
Lune.
E con tutto quello di cui non ho idea.
Anche con la paura. Con l'adrenalina, l'incertezza, la distanza, la lentezza, l'ignoto, le relazioni.
Con tutto quello che mi eplodera' dentro.
Al contrario, dovro' aspettare la terra per poterlo raccontare a qualcuno.
A te, che leggi.
Dovro' affogare tutto quello che vorro' comunicare.
Saro' con persone che, come me, si troveranno incapaci di gestire fino in fondo una droga che gia' conoscono ed e' ogni volta diversa.
Cotinuo movimento
Cotninuo cambiamento.
Aspettando l'inaspettabile.
Tra il cielo e il mare.
Al confine tra due mondi che non conosco.
Eppure per ora intravedo soltajto. Aspetto di vedere. Curioso. Ansioso.
Di "sentire" la vita.
Mi ammetto il coraggio di vibrare note che potrebbero essere troppo diverse per ricnoscerle musica che mi piace ascoltare.
Non riesco nemmeno a capacitarmi del fatto che non so come e dove festeggero' il Natale., se lo festeggero',
Sapro' che sara' il 25 Dicembre.
Non so in quale orario del mondo.
Non sapro' quando pensare alla mia famiglia, seduta al tavolo imbandito.
Blu o rosse le candele accesse al centro?
Il freddo fuori. Magari la neve.
Aspettero' il nuovo anno.
Nell'Oceano.
Se questo non bastasse?
Saro' nuvole.
Saro' ogni cosa nuova.
Saro' anche dove mi vorrai.
Saro' con chi mi scrive e mi scrivera', mi legge, Con chi mi ha telefonato o, anche solo per un istante, pensato.
Vivo questa vita cercando di gestire le distanze.
Soprattutto emotive.
Non esistono in quel mondo in cui ora non vivo ma che ho conosciuto e so come ci posso arrrivare.
Ciao.
Ci sentiamo dal Brasile.
Da quello che scendera' sul molo o che cammnera' sulla spiaggia, da quello, qualunque uomo sara', arrivera' il mio piu' grande urlo.
Terra!
E, ancora, vittoria.


Ringrazio tutti coloro che in questi mesi mi hanno seguito su questo blog.
Ricevo quotidianamente lettere e parole che potrebbero eesere tra i commenti.
Per vari motivi mi sara'impossibie scrivere o rispondere a tutti.
Non riusciro' nei pochi giorni che mi restano prima della partenza a telefonare a tutti e fare gli auguri.
Stiamo lavorando assiduamente, tutti i giorni, cercando di mettere a punto tutti i dettagli di questo mostro che ci portera' dall'altra parte. IL trasloco, le fste di addio, i saluti, l'assegnazione delle cuccette, le spese. Sono tanti i dettagli da considerare prima di rimettere in acqua una nave.
E" tutto inverosimile e vorrei poterlo condividere singolarmente.
Non mi e' davvero possibile.
Un forte abbraccio

Dario

Thursday, November 20, 2008

Suzanne

Suzanne takes you down
to her place near the river
you can hear the boats go by
you can spend the night beside her
And you know that she's half crazy
but that's why you want to be there
and she feeds you tea and oranges
that come all the way from China
And just when you mean to tell her
that you have no love to give her
she gets you on her wavelength
and she lets the river answer
that you've always been her lover
And you want to travel with her
you want to travel blind
and you know that she can trust you
for you've touched her perfect body
with your mind.

And Jesus was a sailor
when he walked upon the water
and he spent a long time watching
from his lonely wooden tower
and when he knew for certain
only drowning men could see him
he said All men will be sailors then
until the sea shall free them
but he himself was broken
long before the sky would open
forsaken, almost human
he sank beneath your wisdom like a stone
And you want to travel with him
you want to travel blind
and you think maybe you'll trust him
for he's touched your perfect body
with his mind

Now Suzanne takes your hand
and she leads you to the river
she is wearing rags and feathers
from Salvation Army counters
And the sun pours down like honey
on our lady of the harbour
And she shows you where to look
among the garbage and the flowers
There are heroes in the seaweed
there are children in the morning
they are leaning out for love
they will lean that way forever
while Suzanne holds the mirror
And you want to travel with her
you want to travel blind
and you know that you can trust her
for she's touched your perfect body
with her mind

di L .Cohen

il viaggiatore

appare come un eterno viaggiatore, un girovago, un avventuriero senza meta che esaurisce il suo viaggiare nel viaggiare stesso; un viaggiatore che non siferma mai, che vive per esperimento e che gode di ciò che il continuo mutamento contemplativo offre alla luce della sua anima, mai pago di ciò che ha visto, sempre disponibile a nuove forme di avventure intellettuali che la vita, prosperosa mammella del dolce nettare, suole offrire.

di F. Nietzsche

Tuesday, November 18, 2008

Come rinasce una barca

Per chi volesse documentarsi sulle varie fasi del nostro lavoro, in questo link alcune foto commentate
http://latestnewsfromthervheraclitus.blogspot.com/

Check out the link above for some pictures on the ship costruction.

Monday, November 10, 2008

Home is where you hearth is

Sono seduto in mezzo al profumo di pizza.
E non so se prendermi una pizza o qualcos'altro.
La pizza, con ogni probabilita' la mangero' anche domani, come ogni martedi qui a Simonstown.
Ogni martedi da aprile ad oggi, alle 12, la pizzeria Pescado di Simonstown prepara 5 o 6 pizze da cosegnare all'equipaggio dell'Heraclitus, all'interno del Drydock della Navy.
Per ora mi sorseggio una birra.
Gustandomi gli sguardi dei clienti che mi lanciano occhiate divertite.
Sono vestito con pantaloni e camicia a mancieh corte color kaki. In tono.
Ma sono completamente coperto di macchie di colore.
Rosso, bianco, grigio e nero.
Anche le mani, le braccia, le unghie, la barba.
Le scarpe.
Sono un quadro di Pollock seduto in una pizzeria.
La settimana scorsa qualcuno ha guardato ammirato i miei vestiti,
Saro' mica italiano per nulla...
A questo punto non e' difficile ricomporre il puzzle.
Sono tonrato a Simonstown e stiamo dipingendo la barca.
Ebbene si'.
Sembra incredibile, ma alla faccia degli increduli l'Heraclitus sta riprendendo colore dopo aver ripreso forma prima che me ne andassi in giro per l'Africa.
Si percepisce eccitazione tra noi.
Si percepisce la voglia di partire.
E io gia' mi prefiguro l'adrenalina quando questa roccia a forma di barca tocchera' di nuovo l'acqua.
Non so se riusciro' mai a trasmettere la forza di quello che sta succedendo.
Siamo un gruppo di lavoratori che non ha mai fatto questo mestiere.
Non da professionisti.
Stiamo rimettendo in piedi una barca che aveva bisogno di essere riparata gia' due anni fa.
Era un relitto galleggiante.
Ed ora, sotto gli occhi increduli di tutti gli altri operai del drydock questo gruppo di ragazzi e ragazze che sembravano piu' bravi a cantare....sta dipingendo il cemento.
Siamo 13.
Manca solo il quattordicesimo ed io, ovviamente, mi gioco tutto per la svedese o la principessa del Marocco.
Doveva aggregarsi uno che ha girato per concerti con i Greatful Dead...
Ma forse...e' troppo stanco.
E, tanto per stare in tema di rock star...sabato ho conosciuto uno che ha sounato le percussioni con i Rolling Stones..
Non ho fatto fatica a credergli quanbdo ho visto il suo belllissimo camperino volkswagen, ma soprattutto, ho preso tutto quel che diceva per oro colato quando ha chiesto a suo figlio di 5 anni di tenergli la marijuana nelle tasche.
In ogni caso....13, 14 o quel che xe.
E questione di 3, 4 settimane, fossero anche 5...tanto per non sbagliare.
E poi...si salpa.
Credo proprio di aver deciso.
Andro' in Brasile.
In questi giorni ho avuto l'occasione di leggere un libro scritto da John Allen.
E mi si sono chiarite un po' di cose.
John Allen e' l'inventore, per cosi' dire, dell'Heraclitus.
E l'uomo che ha concepito il progetto si in termini architettonici che concettuali.
Prossimamente aggiornero' questo blog con qualche notizia in Italiano.
Intanto invito i piu' curiosi a visitare questi link
http://www.biospherics.org/
http://en.wikipedia.org/wiki/Biosphere_2
Nel libro di John Allen, tra le riflessioni che si intersecano alla sua storia e alla descrizione dei suoi lungimiranti porgetti, si legge.
Home is where you hearth is.
E' una frase che io, qualche giorno fa ave4vo annotato nel mio diario.
Sono a casa?, scrivevo.
Forse casa e' soltanto il luogo dove abita il cuore.


Foto album recentemente aggiornato
http://rogosdraiato.spaces.live.com/

Sunday, October 26, 2008

Lino

Ci sono tante situazioni, riflessioni che mi fanno sentire in viaggio.
Spesso percepisco la distanza da tutto quello che ho fatto finora e che sono stato in relazione alle immagini e agli eventi che per vari motivi sono costretto a tenere per me.
A vivere da solo.
Per contro anche quello che succede nel mondo da cui provengo sembra non appartenermi.
Sembra che tutto avvenga e che io possa soltanto venire a conoscenza dei fatti.
Come notizie di un giornale.
E' successo.
Come se fosse cronaca.
Ma non e' sempre cosi'.
Ci sono dei legami affettivi, sentimentali e personali che superano il fatto in se.
Il fatto diventa soltanto il motore che scatena pensieri molto vicini in due mondi, anche molto lontani in termini di chilometri.
In questi casi distanza e vicinanza non sono che due facce della stessa medaglia.
Talvolta vorrei essere a casa per non dover rigirare la medaglia per trovare il lato piu' bello e vicino.

Safe Abortion - Aborto Sicuro

SAFE ABORTION
082 568475
CLEAN, PAIN FREE

Il portellone del minubus sul quale ho viaggiato da Mtubatuba e Durban si e' aperto davanti ad una parete ricoperta da una interminabile fila di manifesti con questo annuncio.
Aborto sicuro. Chiama 082 568475. E' pulito e senza dolore.
Un pugno nel cuore.
Ben tornato in Sud Africa.
In queste settimane di viaggio non ho visto nulla di piu' agghiacciante.
Il rientro nella terra dell'arcobaleno ha rivelato subito tutte le contraddizioni e i problemi etici e sociali che si nascondono, e nemmeno tanto bene, dietro una facciata perfetta, pulita.
Fatta di strade perfettamente asfaltate, piazze pavimentate, parchi naturali curatissimi.
E' strano come a pochi pochi metri dal confine con il Mozambico sia tutto cosi' tremendamente diverso.
Una rete di metallo, come quella che separa due case confianti, e' in questo caso una linea sottile che separa due mondi. Il primo dal terzo.
Maputo da Durban.
Durban e' enorme. E' gigante.
Le strade sembrano quelle di San Francisco.
Larghe e in continuo saliscendi.
Oggi, domenica, era deserta.
Cartacce alzate dal vento che soffiava dall'oceano.
Granelli di sabbia scagliati contro la mia pelle.
Cielo terso e oceano impetuoso.
Palme lungo la spiaggia piegate sui gruppi di zulu raggruppati sull'erba.
Era quasi inquietante la desolazione di certe vie.
Intrecciate in una rete ortogonale, costeggiate da tir in riposo.
Un porto a perdita d'occhio, peschereggi ormeggiati a ridosso dei grattacieli.
Mercati affolati e centri commerciali in ogni quartiere.
Notti pericolose.
E ancora d'Africa.

Sunday, October 19, 2008

Afro News...prossimamente

Prossime puntate...
Afro News #2 da Quelimane, Zambezia, Mozambique
Afro News #3 da Praya Zalala, Zambezia, Mozambique


Saturday, October 18, 2008

Afro News

Prima Edizione
Prima Puntata
Notizie da Casa Familia della Cooperativa Ceramica di
Quelimane - Zambezia - Mocambique


Aldo


E' strano incontrare un amico.
Dopo cosi' tanto tempo.
Qui.
Cosi' altrove.
In un luogo lontano da tutto e da tutti, che non ci appartiene.
In territorio neutro.
E' strano raccontarsi pensieri maturati separatamente e scoprire che alcuni coincidono.
Addiruttura alcuni sogni sono stati sognati nello stesso modo.
E' quasi difficile doversi capacitare che la vita possa essere cosi' bizzarra e farci incotrare in Africa.
Ricordare i viaggi in camper, gli amici comuni, i tempi dello studio.
E poi...
mi mancava la possibilita´di dire a voce, con calma, ad una persona vicina, le cose che sento e che vedo, sapendo che sono intese come desidero.
E custodite.

Wednesday, October 15, 2008

31 ore d´inferno

Penso che il viaggio sia sulla strada.
Sulla superficie della Terra.
Sia essa liquida o solida.
Penso che il viaggio sia lento.
Penso anche che il viaggio piú intenso sia povero.
In terza classe.
Quarta , quinta.
Dalla seconda in giu´.
Non che non mi piacciano i comfort, se potessi scegliere, in certi casi non avrei dubbi.
Ma tra Quelimane e Maputo ci sono solo due possibilitá´.
Aereo o Bus.
Appena ho saputo che l´aereo prenotato cun un solo giorno di anticipo sarebbo costato 10 volte il bus, non ho esitato.
Bus.
1300 Meticais per il posto a sedere e 200 per il bagaglio.
1500 Meticais (45 euro) e´il prezzo per una visita all´inferno.
Convinto che accumulare sonno sia una garanzia di trascorrere dormendo ore lunghe di interminabili viaggi, la notte precedente la partenza non sono andato a dormire e alle 3 del mattino di martedi 14 ottobre ero alla stazione degli autobus di Quelimane, con Martins, autista della Cooperativa Cercamica di cui sono stato ospite per 12 giorni.
Credendo che il numero segnato a penna sul mio biglietto fosse la garanzia che il mio posto a sedere sarebbe stato quello concordato, non mi sono preoccupato di andarne ad occupare uno ed aspettai un´ora fuori, per fare la guardia al mio zaino.
Una volta assicuratomi che stava sopra l´autobus e che non fosse schiacciato sotto sacchi di patate o casava, andai a sedermi.
Il pensiero che potesse cadere dalla bagagliera stracolma duro´poco. Si presentarono presto problemi piu´immediati.
Il bus aveva circa 70 posti distribuiti in file da 2 e 3 sedili, rispettivamente a sinistra e destra del corridoio.
Credo che solo gli scuola bus contengano cosi´tanti sedili.
Credo che un viaggio di 22 ore e piu di 1000 km su un mezzo del genere sia impensabile in molti paesi dove sono stato finora.
I numeri sui sedili non esistevano.
C´era una fila di 3 sedili liberi. Ed erano gli unici.
Che culo, ho pensato.
Mi sono steso su tutti e tre, cercando di cominciare subito a dormire.
Alle 4 precise, clamorosamente, l´autobus comincio´la sua marcia verso Maputo.
Arrivo previsto per le 2 del giorno seguente.
22 ore con tre sedili a mia disposizione non sarebbe state poi cosi´ male.
Non passarono nemmeno 10 minuti che l ´autobus si fermo´ e sentii che qualcuno si stava sedendo sopra le mie gambe, per farmi capire che voleva sedere li´.
Gli feci posto e mi accorsi che il mio sedile era quello sopra la ruota dell´autobus.
Quello che non vuole mai nessuno.
Quel posto tanto odiato per tutti gli anni che sono andato a scuola in corriera.
Le cambe non possono stare in posizione per cosi´dire... normale, a poco piu´' di novamnta gradi.
O stese sotto il sedile anteriore, o piegate, con le ginocchia molto alte.
Nel rannicchiare le gambe la seduta del sedile si stacco´dall´intelaiatura e scivolai in avanti.
Senza alterarmi troppo, non ne avevo le forze, cercai di riposizionare il pezzo di sedile.
Presa posizione mi resi conto dell'incredibile spiffero d'aria che entrava dal finestrino.
Ero seduto esattamente all'incrocio dei pali, ovvero se giravo la testa alla mia destra per guardare il paesaggio vedevo quasi esclusivamente il telaio dei finestrini.
Il vetro sbatteva nel telaio, provocando un rumore incessante esattamente al livello del mio orecchio.
Il tipo alla mia sinistra mise la sua borsa tra le nostre coscie, diminuendo lo spazio a dispoizione per sedere.
Ma non avevo voglia di dire niente.
Stava andando tutto gia' troppo male.
Le fioche luci sul soffitto dell'autobus mi impedivano di vederne bene le fattezze e di distinguere le facce degli altri passeggeri´, ma non ci misi molto a capire che c'erano bambini.
Un paio, proprio davanti a me, urlavano per non solo quale gioia di un mattino ancora buio, ma, cosa molto peggiore, quello piccolo alla sinistra, al lato opposto del corridoio, comincio´a piangere.
All´inizio, dopo la prima decina di strillate, ero quasi contento. C'era qualcuno che stava peggio di me. Lui, o lei, non l´ho mai capito, non poteva dire cosa voleva e non poteva nemmeno decidere la posizione. poteva solo piangere o non pinagere.
La madre provo´a fare un po´ di vento, a mettergli in bocca una tetta per dargli da mangiare, ma niente, strillava.
Provo´ a farlo saltellare, a cullarlo. Non c´era verso.
Era un pianto forte, urlato con tutta la voce che quella creatura appena venuta all'Africa riusciva a usare.
Se io gli avessi urlato nelle orecchie con la stessa forza con cui piangeva, forse l'avrei fatto vibrare.
Mi divertiva vederlo piangere. E allo stesso tempo mi dispiaceva.
Ma dopo un po´il suo urlo continuo mi entro´nel cervello come nota unica e costante, impossibile resistere ancora.
Estrassi i miei tappi per le orecchie che in un brillante istante di lucidita' mi ero ricordato di prendere dallo zaino poco prima che lo mettessero sulla bagagliera.
Morto di stanchezza e piombato nel piccolo silenzio di poliuretano arancione tra i suoni e me, riuscii ad assopirmi.
La testa china contro il vetro, le gambe rannicchiate.
Mi sveglio´una manata sulla spalla.
Era l´aiutante dell´autista, il bigliettaio. Il rompicazzo.
Il mio portoghese degli ultimi giorni andava sempre migliorando, ma non riuscii a capire quello che mugugnava quel tipo, nemmeno dopo essermi stappato le orecchie.
In ogni caso stavano uscendo tutti e quindi mi apprestai a fare altrettanto.
Il mattino era abbagliante.
Potei distinguere chiaramente le facce degli altri passeggeri e quella del mio vicino.
Potei notare che l'autobus non poteva avere meno di 30 anni.
Appena sceso vidi che tutti pisciavano.
Uomini in piedi e donne pure. Allargano le gambe e pisciano sotto la gonna. Non hanno le mutande.
Senza un vero stimolo, pisciai.
Assonnato mi accorsi solo mentre pisciavo che eravamo sulla riva di un larghissimo fiume.
Un ponte in costruzione lo attraversava per meta´della larghezza e una chiatta enorme si stava avvicinando.
La chiatta aveva il motore a pieno regime, perche´doveva contrastare la forte corrente ed era caricata con un paio di TIR, bus, auto e persone.
Attracco´, abbasso´gli scivoli metallici e veicoli e persone cominciarono a uscire.
A quel punto il mio autobus e altre auto salirono sulla chiatta. Per ultime, persone e bicilette.
All'altro lato del fiume comprai un paio di banane dalle baracche di legno e una bottiglia d'acqua dai vendtori ambulanti che attorniano i bus ogni volta che si fermano.
Quando l´aiutante, un tipo col capellino da baseball e una maglietta con scritto MERRY CHRISTMAS, chiuse le porte dell'autobus, io non mi ero ancora seduto e dovetti saltare borse, taniche e bambini per andare nel mio buco.
Cercai di salutare il mio vicino, ma non ci misi molto a capire che non parlava ne' portoghese ne´inglese. Riuscii a fargli dire Bangladesh.
Io dissi Italia.
E non ci parlammo mai piu´.
La strada al di la' del fiume era in costruzione, quindi sterrata e la velocita' di crocera rimasesui 30 km-h per circa mezz´ora.
Non appena la velocita´era inferiore ai 50 km-h il bus si trasformava in un forno.
70 persone che respiravano, il calore del sole e il pianto di quel bambino.
Facevano piu´caldo le sue lacrime di tutti i fetidi respiri.
Aprire il finistrino non dava gran sollievo, quindi decisi di infilare nuovamente i tappi.
Circa ogni mezz'ora dovevo cambiare posizione perche´mi duolevano le natiche e dopo 4-5 cambiamenti dovetti rassegnarmi ad alzarmi in piedi.
C'erano altre persone in piedi´.
Altri culi piatti, ma l'aiutante fece sedere solo me.
Non ho idea del motivo.
Forse perche´sono bianco, pensai.
Ero ovviamente l´unico bianco.
Sono quasi l´unico bainco che ho incontrato da molti giorni a questa parte. Ripresi posto.
E traballai per un altro po' di tempo con la coscia sinistra riscaldata dalla borsa del vicno, prima che ci fermassimo nuovamente per pisciare e comprare qualcosa da mangiare.
Dopo questa pausa di soli 10 minuti rientrai.
Il ragazzo del Bangladesh non si era mosso.
E non si mosse mai.
Aveva un dollaro in tasca e forse qualche altro problema.
(la signora che gestisce l´internet cafe´mi ha interrotto per farmi vedere il film porno che sta guardando sul suo pc. Ride)
Dicevo..ah si....
Bangladesh.
E poi i pannoloni, cambiati al mio fianco.
Pianti e strilli e merda fuori dal finistrino.
Gettano tutto dal finestrino.
Bottiglie, banane, lattine.
Come se fuori la spazzatura venisse risucchiata direttamente nel bidone.
Tutto il pomeriggio e' andato avanti cosi'.
Soste ogni dure ore, pianti.
Alle 18 era tutto immerso nel buio.
Ero un punto bianco nella notte nera.
E cominciai a pensare a cosa stavo lasciando.
Paulito, Benedicto, Vasco, Nelu, Winghy....e tutti gli altri bambini.
Dona Dulcia, Dona Vitorina.
Martins....
Acacio e le sue interminabili ore solitarie nella notte, davanti al cancello.
Ora le potra´ contare con l'orologio che gli ho regalato.
Pensavo alle canzoni che quella `creansa´ (bambini in portoghese) aveva cantato per me.
Pensavo alle loro storie, tristi, senza padri ne´ madri.
A quegli 87 fratelli che vivono in una unica FAMILIA.
Pensavo alle patate, al pollo, al pesce che Dona Dulcia cucinava per me.
Pensavo che ovunque si dovrebbe tornare....
Tra qualche pensiero felice e nuova stanchezza credo che mi assopii un altro paio di volte prima che il bus si fermasse ancora.
Nel nulla.
Scesi.
La luna piena faceva brillare il cielo.
Intravedevo i contorni degli alberi lontani.
Distinguevo le vernici bianche della carrozzeria.
La luna riflessa sui vetri.
La bagagliera altissima, piena di bagagli.
Eravamo fermi per un´avaria.
Ah.
Non mi somposi piu' di tanto.
Era gia' tutto troppo assurdo.
Io, solo, tra africani. In Africa, nella notte, accanto ad un bus fermo nel nulla.
Pisciai li´, due passi lontano dalla porta.
E aspettai.
La luna mi piaceva di piu´riflessa che vera.
Guardando quella riflessa nel vetro potevo vedere contemporaneamenete, luna, nuvole veloci che la nascondevano, e bus. E avere il quadro completo della situazione in una sola immagine.
Nella notte intorno sentivo un bambino vomitare, un altro piangere, un vecchio sputare.
Una signora fumava succhiando il filtro e tutta se stessa ad ogni boccata.
Tutti in attesa.
Senza sapere se saremmo davvero ripartiti.
Ma ripartimmo.
Guardai l'ora molto spesso per tutte le ore a venire, mi alzai, cambiai posizione, mi coprii la testa con la camicia per proteggermi dagli spifferi freddi.
Ogni tanto bevevo un sorso d'acqua riponendo la bottiglia tra le gambe per paura che il tipo del banlgadesh me la prendesse.
Aveva finito la sua e non aveva Meticais. Solo un misero dollaro.
Al mattino, alla prima sosta, ne comprai una bottiglia per lui, ma poco dopo spari'.
Lui e altri 4 indiani sparsi per il bus scesero, salirono su un pick up rosso e non tornarono.
Non so il motivo. Non so niente.
E non so nemmeno perche´la po0lizia, dopo aver controllato il passaporto del bianco, ovvero il mio, fece scendere tre tipi, seduti uno accanto all´altro.
Si erano appena lucidati le scarpe di cuio marrone con meticolosa cura.
Forse preparavano la marcia verso la questura.
Non so.
Non so niente.
So che avevo occhi come macigni, male ai denti per via delle vibrazioni, un culo che ancora non riersco a tenere seduto e tanta voglia di dormire.
Vado.

Alle mozambicane piace bianco

Ce ne sono di tutti i tipi.
Magre, alte, grasse, rotonde.
Ce ne sono di bellissime.
Non resisto a giardarle fino a quando spariscono.
Nere.
E pare che anche a loro il bianco piaccia.
Alcune si limitano a guardarmi, timidamente.
Le piu´ spigliate mandano un bacio con un soffio.
In un paio di casi mi sono saltate LETTERALMENTE addosso.
Branco non mente, dicono.
Branco ten dinhero, tambien.

Thursday, October 9, 2008

Malawi fuori, ovvero Mozambico

Connessione trooppo lenta e credito residuo esaurito per poter scrivere tutto quello che velocemente mi passa da qualche parte parallelamente all'esofago

Sunday, September 28, 2008

La storia siamo noi

di F. De Gregori

La storia siamo noi, nessuno si senta offeso,
siamo noi questo prato di aghi sotto il cielo.
La storia siamo noi, attenzione, nessuno si senta escluso.
La storia siamo noi, siamo noi queste onde nel mare,
questo rumore che rompe il silenzio,
questo silenzio così duro da masticare.
E poi ti dicono "Tutti sono uguali,
tutti rubano alla stessa maniera".
Ma è solo un modo per convincerti
a restare chiuso dentro casa quando viene la sera.
Però la storia non si ferma davvero davanti a un portone,
la storia entra dentro le stanze, le brucia,
la storia dà torto e dà ragione.
La storia siamo noi, siamo noi che scriviamo le lettere,
siamo noi che abbiamo tutto da vincere, tutto da perdere.
E poi la gente, (perchè è la gente che fa la storia)
quando si tratta di scegliere e di andare,
te la ritrovi tutta con gli occhi aperti,
che sanno benissimo cosa fare.
Quelli che hanno letto milioni di libri
e quelli che non sanno nemmeno parlare,
ed è per questo che la storia dà i brividi,
perchè nessuno la può fermare.
La storia siamo noi, siamo noi padri e figli,
siamo noi, bella ciao, che partiamo.
La storia non ha nascondigli,
la storia non passa la mano.
La storia siamo noi, siamo noi questo piatto di grano.

(dedicata da E.C.)

Monday, September 22, 2008

Malawi dentro


Il percorso dal piccolo areoporto di Blantyre alla lodge dove ho trascorso le prime due notti in Malawi mi aveva sparato negli occhi l'Africa in un solo colpo.
L'africa stereotipata.
E quella che volevo toccare.
La mia ....Africa.
Ma non ero riuscito a vederla.
Dal finestrino dell'auto che correva veloce tra biciclette e bambini non potevo che toccarne soltanto l'aria. Calda.
Ci sono voluti giorni per lasciare che la sorpresa si trasformasse in visioni e un'infinita sequenza di immagini quotidiane che non hanno niente in comune con tutto quello che ho visto e vissuto finora.
I carichi sulla testa delle donne.
I bimbi appiccicati alle loro schiene. Senza dolori ne' pianti.
Silenziosi aspetttano di crescere.
E cominciare a pescare. A portare secchi sulle piccole teste rasate.
O a vendere qualsiasi cosa attaccati a i finestrini di furgoncini e autobus.
Uova, cipolle, mango.
Coca-cola, Fanta.
Pesce. Crudo e cotto. Potrei forse mangiare un pesce schiacciato nel caldo affollato di un autobus gia' pieno di borse e malawiani?
Dove le metto poi le mani che puzzano? C'e' spazio per l'odore di un pesce che non ha mai nemmeno toccato un cubetto di ghiaccio?
Ammassati, schiacciati.
Ma senza urla ne' spinte.
Non mi disturba nemmeno troppo.
Sono in Africa.
Sono in quello che volevo.
Sia pesce o uova, Strilla di bambini o polvere negli occhi.
Siano patate sotto il sedere, mezze capre al mio finestrino.
Sono seri quegli occhi.
Forse non hanno venduto nessuno di quei pesci.
Eppure basta che io alzi il mio pollice e gli angoli delle labbra perche' anche in loro si accenda un sorriso.
Sempre
Non esiste bambino che non mi sorrida.
Che non cerchi il mio volto epr dirmi...Hallo.
Happy, Gift, Special. Felice, Donata e Speciale.
Sono questi i nomi della gente.
Sono nomi che ho gia' sentito.
Ma non li avevo mai sentiti per il loro significato.
Donne.
Donne con chili di legna sul loro cervello.
Scendono montagne senza abbassare la testa.
Dritte e piu' forti degli uomini.
In processioni quotidiane verso la riva, ogni mattina, all'alba, raccolgono litri di acqua del lago.
Avanti e indietro.
A pettinare la spiaggia.
Si infilano tra le capanne e tornano con i secchi pieni.
Sfiorano i baobab, enormi sulle strada di sabbia.
Credevo non esistessero piu'
Credevo che il futuro avesse ricoperto d'asfalto ogni percorso e i percorsi dei giochi.
Invece qui, in questo piccolo cuore dell'Africa e' tutto non lento.
Non ferma.
E' altrove.
Non e' un ritaglio di vita lontana paralleo al futuro.
Africa. O Malawi soltanto. Ancora non lo so.
Pomodori, cipolle, pannocchie.
Banane verdi. Pentole gia' rotte.
Patate.
Dio quante patate.
Pugni stretti intorno a mazzette di denaro.
Soldi e cellulari.
Olio rovente sopra legna che arde e telefoni cellulari.
Ma io non compro stronzate e nemmeno amici.
Sembrano tutti amici.
Il mio sguardo diffidente e' costretto a sciogliersi di fronte alla semplicita'.
Onesta'.
Disponibilita'.
Generosita'. Per offrirmi quello che hanno.
Coraggio.
Hanno coraggio quei bimbi approdati alla spiaggia.
Spingevano nell'acqua remi troppo grandi per loro.
Spingevano canzoni tra le labbra.
Non so se li ho sentiti dirsi nulla.
Forse dovrebbero essere cosi' i bambini.
Tanti.
Avere l'argento dei pesci riflesso negli occhi.
Dovrebbero cantare.
Strisciare nella polvere tra capre e polli.
Non vedere gli ubriachi dietro barriere di paglia.
Raccontarssi verita' cantate dal Raggae.
Dette nella polvere o dall'alto di un altare, sono le stesse con cui mi sono visto morire.
One love.
Prendila questa pace.

Africa | Video Messaggio #1


Thursday, September 11, 2008

Comunicazioni

SO che qualcuno ha provato a telefonarmi al numero africano con scarsi risultati.
Non so che dire.
In ogni caso domenica volo in Malawi per un periodo indefinito.
Il numero a cui contattarmi sara'

+447937023739

Il numero africano e' e sara' al mio ritorno in Sud Africa

+27761515668

I muscoli del Capitano, di F. De Gregori

Guarda i muscoli del capitano
tutti di plastica e di metano
guardalo nella notte che viene
quanto sangue nelle vene
Il capitano non tiene mai paura
dritto sul cassero fuma la pipa
in questa alba fresca e scura
che assomiglia un po' alla vita
E poi il capitano se vuole si leva l'ancora dai pantaloni
e la getta nelle onde
e chiama forte quando vuole qualcosa, qualcuno
c'è sempre uno che gli risponde
Ma capitano non te lo volevo dire
ma c'è in mezzo al mare una donna bianca
così enorme nella luce delle stelle così bella
che di guardarla uno non si stanca
Questa nave fà duemila nodi
in mezzo ai ghiacci tropicali
ed ha un motore di un milione di cavalli
che al posto degli zoccoli hanno le ali
La nave è fulmine, torpedine, miccia
scintillante bellezza, fosforo e fantasia
molecole d'acciaio, pistone, rabbia,
guerra, lampo e poesia
E in questa notte elettrica e veloce
in questa croce di novecento
il futuro è una palla di cannone accesa
e noi lo stiamo quasi raggiungendo
Il capitano dice al mozzo di bordo
signor mozzo io non vedo niente
c'è solo un po' di nebbia che annuncia il sole
andiamo avanti tranquillamente

(dedicata da G.T.)

Friday, September 5, 2008

Day off

Il rombo di un motore spacca l'aria.
Pezzi di citta' mi volano in faccia.
Un elicottero si avvita nel cielo.
Il presidente se ne va.
Mr Mbeki e' venuto a far visita alla Marina Militare.
Parata di navi e colpi di cannone.
Poliziotti ovunque e massima sicurezza.
Il drydock e' blindato.
Anche per me.
Mi concedo una giornata tra l'elettricita' di un'atmosfera tersa.
Un sole incandescente rischiara questo mattino d'inverno.
Mi siedo al tavolo di un bar affacciato sul porto.
Una foresta di alberi maestri ondegggia poco lontano.
Ancore arrugginite, appoggiate lungo la baia, sentinelle delle'elemento che vorrebero abitare ancora.
Destinate a sostare sul punto zero.
Al confine esatto tra terra, mare e cielo.
Vorrebbero scoprire gli abissi.
E provare ad essere ancora un punto fermo nel movimento.
day off

Wednesday, August 20, 2008

Shabim

Solo poche centinaia di metri separano la mia quotidianita' da quella degli abitanti del piccolo villaggio sopra la collina.
Tutte le mattine li vedo camminare lungo il bordo della strada, diretti verso il mare, verso la citta'.
Qualcuno spera in un passaggio.
Scendono al mattino, risalgono alla sera
Tutti i giorni.
Li vedo di giorno
Li sento di notte.
La musica della loro notte si spande nel buio o nel silenzio del chiaro di luna.
Sono andato a vedere da dove viene.
Tra le poche luci che illuminano le strade terrose, tra latrati di cani, piscio negli angoli e baracche si nascondono SHABIM.
Si tratta di garage con qualche lampadina, un tavolo da biliardo, un bancone e il juke box.
Il lunedi sera probabilmente non e' la notte per la festa collettiva e i ragazzini sono gli unici 'clienti'.
Non comprano nulla, non hanno denaro.
Infilano una moneta nel biliardo.
Giocano
E ascoltano musica per poche altre monete.
I bianchi, gli stranieri, sono sicuramente una rarita'.
Non e' un paese.
E' un agglomerato di baracche abusive, dove il Sud Africa ha relegato i neri.
Li lasciano vivere nascosti.
Shabim non e' un bar lungo la strada.
Alla prima canzone arrivano a decine.
Sanno che qualcuno ha infilato una moneta in quella scatola che emana musica
10 canzoni.
Sempre quelle.
!0 canzoni che tutti sanno a memoria, per ballare.
Come sono le loro vite, a cosa pensano?
Che fanno durante il giorno?
Li ho visti prendersi a sassate.
Ci saranno le gang di quartiere?
Ci saranno rivalita' tra i vari Shabim?
Offro un sorso di birra, gioco a biliardo.
Io e Eddie contro due di loro.
Ovviamente stravincono.
Conoscono ogni possibile rotazione delle palle.
Ballano.
Conoscono ogni singola rotazione del corpo.
Sorridono.
Mi abbracciano e ballano fino al mattino.
Urlano nella notte per festeggiare la stessa luna.
Piena o in eclissi. Per loro e per noi, luce nella notte.
Pochi metri per attraversare la strada e ritrovarsi in Africa.
Non so se sia quella dei giornali e dei racocnti altrui.
E' sempice.
Viva.
E' dentro.

Sunday, August 10, 2008

In & out



Si riesce a vedere solo guardando dall'interno verso l'esterno. Per vedere in direzione opposta occorre avvicinarsi molto.
Molto.

Wednesday, July 23, 2008

Una domenica invernale nella campagna sudafricana di Federica Chimenti

Oggi vi scrivo da casa. Vi scrivo dalla bella casa in campagna dove abitiamo felicemente tutti insieme. E’ domenica e tutti sono stravaccati nella ricerca del relax e del confort piu’ totale. C’e chi guarda film, chi legge, chi scrive (come me) chi si dedica alla sacrosanta “arte del massaggio” per poi riceverne un altro indietro.
Fa freddo e sono tre giorni che piove. Ieri sera ha piovuto forte forte.
Il “lavoro di cantiere” procede lentamente anche se tutti s’impegnano molto e tutti i giorni. In realta’ il fatto e’ che siamo pochi in confronto alla montagna di lavoro a forma di barca che ci troviamo di fronte. Ma non ci perdiamo d’animo. All’orizzonte abbiamo qualcosa chiamato “Brasile, Sudamerica, Caraibi, Europa” con probabile sosta in Namibia a bordo di una junka cinese ricostruita con le nostre forze e la nostra passione, potente come niente altro al mondo.
Personalmente, non sto facendo molta vita sociale al momento anzi, sono molto concentrata nel ferro-cemento, interessante materiale inventato da un italiano. E’ incredibile pensare a quanto lavoro c’e’ dietro ad un solo mq e noi, al momento abbiamo qualcosa come 60mq di “scoperto”….vi mando una foto dell’inizio dei lavori a poppa….il risultato e’ uno squalo con un occhio solo, a bandit shark!
Intanto, da circa un mese il temerario equipaggio heraclitiano ha conquistato un altro italiano, Dario, poderoso e coraggioso trentenne alla ricerca del proprio futuro; altra conquista seppur temporanea e’ chiamata Lauren, ex-heraclitiana e venuta appositamente dalla California utilizzando le sue 4 settimane di ferie per aiutarci e Eddie, Solomon Island, nero come la pece, e’ tornato a far parte di noi.
La societa’ che adesso mi circonda e’ fatta da noi, belli come il sole, e da vari personaggi che lavorano all’interno del dry dock. Il dry dock, e’ come se fosse una piccola citta’ dove arrivano barche per essere riparate, distrutte, lucidate. Essendo all’interno della marina militare, i “visitatori” sono per lo piu’ uomini in divisa: brasiliana, inglese, uruguaiana, indiana, …poi ci sono i lavoratori, all’incirca sudafricani, che letteralmente, ci adorano. Loro non hanno mai visto un gruppo di persone provenienti da tutto il mondo che lavorano cosi’ tanto (e bene!) per la voglia di navigare in giro per il mondo, per tenere in vita un vascello di 33 anni, dalle sembianze di un relitto, dove non salirebbero mai e poi mai! Non tutti capiscono il motivo che ci spinge a lavorare cosi’ duramente, ma ci rispettano e ci aiutano. Ci sono delle perone che vengono ogni giorno a trovarci, lavorano con noi, e curiosi, ci fanno un sacco di domande.
Essere donna poi, e’ davvero una rarita’. Ci sono pochissime donne che lavorano all’interno del dry dock e nessuna che lavora comunque nei cantieri. Le uniche siamo noi: io, Christine e Michelle. Noi facciamo di tutto, dal martello pneumatico alla sabbiatura, dal ferro al cemento. Questi uomini ci guardano con ammirazione e ci chiedono se vogliamo avere figli, marito e famiglia. Rimangono stupiti dalle nostre risposte sorridenti e continuano ad aiutarci, a procuraci pezzi importanti per la barca, persone professionali per qualche ora al giorno, etc etc…
Ci sono poi altre persone che fanno ormai parte della nostra societa’ e sono alcuni degli abitanti di Scarborough il paesello piu’ vicino al posto dove viviamo. Ex-villaggio hippy e’ ancora abitato da personaggi veramente interessanti, particolari e di cuore. Ho come l’impressione che queste persone abbiano la piena consapevolezza di aver scelto un angolo di mondo per vivere il resto della propria vita. Ma vi parlero’ di loro un’altra volta.
Oggi vi voglio parlare di Christopher, l’uomo della caverna.
Qualche settimana fa sono andata a trovarlo perche’ avevo sentito parlare di lui e…mi ero incuriosita. Cosi’ dopo aver camminato per circa 40 minuti in un paesaggio tanto simile al terrestre quanto a quello lunare, ho iniziato a vedere la “mushrooms house”: una casa in cima ad una montagna costruita tra le rocce con un tetto di ferro-cemento. Si’, di ferro-cemento, non e’ uno scherzo. Christopher, ex-hippy, ha 70 anni e sono ormai 8anni e mezzo che vive lassu’ da solo. Non e’ un eremita, quando ha voglia/bisogno, scende “in citta’”. Ha semplicemente scelto di vivere cosi’. Il tetto di ferro-cemento e’ fantastico, lo ha modellato con dei tappeti in modo che il cemento prendesse una forma ondulare e, effettivamente, con le pareti fatte di rocce, e’ come essere in una caverna. Mangia radici e “cose crude”, non beve bevande calde ed e’ una bella persona, dolce e aperto. Sono rimasta con lui per un paio di ore ed abbiamo parlato di tutto, dalla barca (ovviamente) alla montagna, di quanto e’ invivibile l’Italia e di quanto e ‘ pericoloso il Sudafrica, di cosa vuol dire scegliere e di cosa vuol dire aspettare. Mi ha raccontato dei suoi tramonti ed io gli ho raccontato dei miei. In realta’ non vive da solo, lui vive con 13 piccioni. Non sono piccioni come quelli di Piazza San Marco a Venezia e non sono i piccioni che ha il mio babbo all’orto. Sono race pigeons. Sembrano gli stessi e invece no. questi sono particolari possono volare anche per 1000miglia in un giorno solo. E’ come uno sport, un hobby, vengono etichettati nella zampina e poi….bah! non sono sicura di aver capito bene di cosa effettivamente si tratta. Sinceramente, all’inizio speravo fossero i famosi “piccioni viaggiatori” cosi’ mi ero fatta la romantica fantasia che quest’uomo spedisse messaggi in giro per il mondo attraverso i piccioni, gli uccelli piu’ odiati e disprezzati da tutti. Invece no. Ma la prossima volta che vado a trovarlo mi assicurero’ di aver capito bene di cosa si tratta e vi faro’ sapere. Se, nel frattempo, qualcuno di voi ha gia’ qualche esperienza in proposito, ben venga.
Ok! Detto questo, vi saluto e vi abbraccio sperando di avervi intrattenuto degnamente di fronte all’aspettativa di una maremmana all’avventura negli oceani e nelle campagne sudafricane.

Saturday, July 19, 2008

Sunday speech (english)

La mia settimana tipo e' cosi' articolata
LUNEDI
ore 6. Sveglia
ore6.30.Colazione
ore 7. Partenza
ore 8. Inizio lavoro
ore 10. Break time
ore 10.15. Lavoro
ore 12.30 Pranzo
Ore 13. Lavoro
ore 15. Break time
Ore 17.30. Clean up time
Serata libera

MARTEDI
ore 5.45 Sveglia
ore 6. LAB. (meditazione in silenzio)
ore 7. Colazione
Ore 7.30. Partenza
ore 8. Inizio lavoro
ore 10. Break time
ore 10.15. Lavoro
ore 12.30 Pranzo
Ore 13. Lavoro
ore 15. Break time
Ore 17.30.Clean up time
ore 19.30 FORMAL DINNER

MERCOLEDI
(vedi lunedi)

GIOVEDI
ore 6. Sveglia ore
6.30.Colazione
ore 7. Partenza
ore 8. Inizio lavoro
ore 10. Break time
ore 10.15. Lavoro ore
12.30 Pranzo Ore 13. Lavoro
ore 15. Break time
Ore 17.30. Clean up time
Ore19.30 FORMAL DINNER

VENERDI
(Vedi lunedi, con LAB)

SABATO
ore 8 sveglia
ore 8.30 colazio
ore 9. ACTING CLASS
ore 10. Pulizie di casa
ore 11. Partenza
ore11.30 Lavoro
ecc...

DOMENICA
Day off
ORE 19.30. FORMAL DINNER

La vita di comunita' non lascia molto spazio ai momenti personali.
Spesso faccio fatica a trovare dei momenti solo per me.
In silenzio.
Ma ci sono alcuni aspetti di questa vita condivisa che la rendono interessante.
Cosa e' il LAB, cosa sono le formal dinner....lo spieghero'. Chi e' il pruducer....
In particolare alla dfomenica ognuno si alza in piedi e racconta quello che gli pare.
E' un momento in cui tutti ascoltano tutti.
Domenica scorsa ho letto questo pezzo.



At the end of this day I layed in the last minutes of sun.
Trying to breath in the green of the grass.
It couldn't be greener.
Lighted by the same sun I left on the ocean few kilometres before.
i have still in my nose the smoke of the noisy car that drove me here.
The 3 black guys sitting on the the seats covered by black and white cow leather didn't say a word.
They kept drinking beer hoping the car would start again.
Noisily.
The last noise of my day.
A day of sounds.
The sound of the steps on the black asphalt.
The sound of the water.
The water declare itself before you see it.
Little creeks coming from nowhere and crossing my way.
I carefully jump on a couple of stones leaving the water behind me.
Or better.
Leaving the creeks behind me.
The water was gone exactly in the moment I saw it.
Warm midday sun on my black coat.
I should unwear it.
i stopped.
I took my coat and my jumper off.
I was sweating.
More lonely steps along the lonely road.
Is this my way?
Sounds of nothing.
The stones. The rocks.
They don't talk.
What would they say?
"I feel heavy today"
Bilions of years without a single sound.
Or maybe just the one of the only fall.
Sound of the sharp steps of a horse coming.
Softly the dog runs ahead looking at the horizon of its low world.
One more creek.
One more.
Water sliding on the bottom of the dry rocky landscape.
It will be green and yellow soon.
I go a bit more.
I wish to hear the sound of his voice.
It's sweet and calm.
It comes out from the desert of his mouth.
A couple of teeth.
Enough to be still able to whistle.
This is my instrument.
I can play it everywhere I go.
DO you want to know a secret?
Yes, but it's a secret.
Women are 8 times more sensual than men.
So they are 8 times ahead.
When you think you have a woman undercontrol...she is 8 times forward.
Find the way to be yourself.
See in the others what they are and not what you think of them.
They'llsee in youi what you expect them to be.
And be patient.
In the silence of his cold cave he smiled.
All his life on his face.
The moonish view between his eyes and the ocean.
My next sound.
Steps on my black shadow.
Hiding the path I had to follow.
But it shoulod be up there.
That is what they told me.
After the second creek turn right.
I jumped, I climbed.
I heard one more sound.
Burned flowers anmd burned trees breaking under my feet.
It must be behinf those huge stones.
Just up there.
I run, I go.
I wonna see it.
One more.
One more.
Here we go.
Blue silent ocean on a frame of bright and dry dust.
I wonder how it looks in the moon light.
Do you want to come with me?
It must be AMWASOME.
I want to hear that blue.
I run slowly
scared and happy.
Sweating and burning.
I ended my fast race downhill in the garden of a couple of freinds smoking a joint ocean view.
I walked along all the backyards of cosy houses.
Dogs in line waiting to bart at my passage.
Dogs of different sizes and races.
But dogs.
Few more metres.
It's there.
I hear the waves.
They come to shore showing the last metres of curling beauty of the ocean.
Exploding the sound they kept for thousands od silent movements,
Ciao Dario.
Who knows me?
Is it the ocean so polite?
Ciao Dario he said.
As soon as I stepped on his doorway
I sat
I tryed to listen the peaceful sound of the music inside.
It must be rock.
Rock your soul man.
It's all good.
And grass can always be greener.
Breath it all.
And listen.

Friday, July 4, 2008

Commander

Alvaro e' il comandante della flotta navale della marina uruguaina.
Per una settimana ha mollato i suoi marinai ed e' venuto a lavorare in barca.
Su e giu' per ponteggi, con le scarpe da tango.
Le due navi dirette in sudafrica che battevano bandiera uruguaiana si sono scontrate durante un'esercitazione ed ora sono in attesa di essere riparate nel drydock di Simonstown.
Ieri abbiamo presentato il progetto Heraclitus ad un centinaio di marinai in divisa.
Tutti blu.
Nel pomeriggio Capitan Alvaro ci ha fatto una lezione di posizionamento in mare, osservando stelle e sole. Attorno ad un tavolo all'interno di una delle sue navi.
Poi e' venuto a cena da noi, senza dire niente a nessuno.
Lui e' il commander, mica deve chiedere il permesso.
E' salito in macchina ed e' venuto su in collina.
Era gia' venuto, con i suoi colleghi commander, per il BRAAI di sabato scorso.
Super mega barbecue attorno ad un fuoco gigante.
Comunque....Alvaro...io ci provo a mettermi dalla tua parte.
Catapultato attorno ad un tavolo illuminato al cherosene, a ridere con noi mentre i nostri Capitani inscenano se stessi.
Immerso fino in fondo nella possibilita' di vivere una situazione cosi' diversa dalla tua marina metallica.
Dentro il cemento fino al collo.

Comunicazione di servizio

Non sono ancora riuscito ad organizzare un trasferimento delle foto.
Pero' ho un numero di telefono africano
+27761515668.

Monday, June 23, 2008

Sono In Africa?

16 Giugno 2008.
Quale altro poteva essere il giorno del risveglio?
Con un ampio sbadiglio ho aperto le porte della mia nuova vita.
Sospeso tra nord e sud, tra Europa e Africa, tra giorno e notte, tra le certezze e le incertezze....
Soffiava un fortissimo vento nella buia notte dell'areoporto di Capetown.
Sono sceso dall'aereo dopo un volo rilassante. Quattro sedili tutti per me.
Un buon film.
Effettuate le operazioni di rito doganale sono passato oltre le porte di vetro e ad aspettarmi c'era un urlo.
L'urlo di Federica.
Non ci potevo credere.
Era di fronte a me.
Le mie braccia la stringevano forte, la mia voce era bloccata.
Sono riuscito a dire qualcosa solo una volta entrato in macchina.
In un'ora ero alla CapeFarmHouse, la casa dove vivono tutti i membri dell'equipaggio dell'Heraclitus.
Le facce assonnate dei marinai appena svegli cercavano di sorridermi.
Con le primi luci dell'alba il paesaggio che mi circondava ha cominciato a delinearsi.
Da una settimana esatta vivo in una casa in collina, sulla Cape Peninsula, appollaiata tra cactus e altri alberi, arubusti e erba verdissima, sul limite estremo tra Oceano Indiano e Atlantico.
Fa freddo.
Qunado soffia il vento non si dorme.
Le prime due notti le ho trascorse a fare amicizia con questo suono incessante.
Dopo il vento ho cominciato a fraternizzare con la pioggia.
Ma ieri una tersissima notte di primo inverno ha regalato silenzio e luna.
Intorno a noi ci sono un paio di capanne che vendono artigianato. Uno dei due e' un cimitero di statue di varie misure scolpite nella pietra nera.
Neri sono i ragazzi che le lucidano.
Si confonderanno mica?
Poi c'e' la casa di Robin... una tipa piuttosto strana che ogni tanto ci viene a trovare a cavallo.
Un ristorante.
Insomma tutto parla di toscana.
Anche il vino, che non e' affatto male.
Il primo giorno sono riuscito a fare un giro alla spiaggia, cercando di itnravedere qualcuno delle centinaia di pinguini che di solito la affollano.
Poi sono andato a fare un giro in un altro villaggio.
Un caffe'.
Gia' dal mio secondo giorno mi sono infilatto nel portabagagli del pick up con altre 8 opersone a bordo ed ho cominciato a lavorare dentro e fuori l'Heraclitus.
E' La barca piu assurda di tutto il cantiere navale.
Al momento si presenta come un relitto bucherellato.
E' sospesa sul pelo del cememnto all'interno del cantiere militare di Simon's town.
La maggior parte dei lavoratori che girano sono neri.
E parlano con un accento da rissa.
Io smartello, pulisco barre d'acciaio e lego reti metalliche alla struttura di base.
Sopra queste reti veranno passate mani di cemento per ricotruire le parti che il mare ha deciso di penetrare, arrugginendone l'anima mettallica.
Questo lavoro e' gia stato fatto una decina di volte, da quando nel lontano 1975 un gruppo di persone ha dato vita a qeusto mondo viaggiatore.
A questa barca che ancora non ho cpaito come fara' a stare a galla.
Ho visto i letti dentro, la cucina, gli oblo'. Per ora e' uno scheletro, ma e' gia' affascinante.
TRa gli occhi sbalorditi di militari, fabbri e personaggi vari, consumiamo un buon pasto caldo ora sotto la pioggia, ora con il sole sulla faccia, ma sempre appoggiati ai container con tutta l'attrezzatura da lavoro. Blusa ed elmetto rosso compresi.
Ora, ma se di giorno sono a Porto Marghera e di notte sono in Toscana, dove cazzo e' l'Africa?
Per il momento l' ho vista soltanto dietro i sorrisi tristi di quei ragazzi destinati ai lavori piu' umili.
Ma l'odore del cherosene delle lampade accese sul tavolo durante la cena, i brindsisi e le risate da marinai, l'odore del malto che bolle della stanza adiacente alla casa che sale fino alla mia stanza....(stanza? dormo tra due teli appesi al sottotetto di questa farm house che non si sa bene che destinazione d'uso dovesse avere prima dell'arrivo di questa banda), le discussioni attorno al tavolo, le scenette e le prove teatrali....
Tutto questo mi ha gia' catapultato a picco nel profondo di una nuova avventura che ha il sapore di mare, fatta di persone che hanno scelto di vivere una dimensione tanto difficile da trasmettere quanto lontana da ogni forma possibile di vita che avessi mai immaginato prima.
Sospesi sull'acqua, senza dimora, i membri di questo esperimento viaggiante hanno fatto del movimento l'unico punto fisso.
Sono curioso di vedere come evolve questa cosa.
Come evolvo io qui dentro.
I parametri da sistemare non hanno niente a che vedere con tutto quello che sono stato fino ad ora.
Ed io continuo a scolpire.
Qualcosa uscira' da questa pietra.

Monday, June 2, 2008

AFRICA ARRIVO!

Ode alla vita
Lentamente muore chi diventa schiavo dell'abitudine,
ripetendo ogni giorno gli stessi percorsi,
chi non cambia la marca,
chi non rischia e cambia colore dei vestiti,
chi non parla a chi non conosce.
Muore lentamente chi fa della televisione il suo guru.
Muore lentamente chi evita una passione,
chi preferisce il nero su bianco e i puntini sulle 'i'
piuttosto che un insieme di emozioni,
proprio quelle che fanno brillare gli occhi,
quelle che fanno di uno sbadiglio un sorriso,
quelle che fanno battere il cuore davanti all'errore e ai sentimenti.
Lentamente muore chi non capovolge il tavolo,
chi è infelice sul lavoro,
chi non rischia la certezza per l'incertezza, per inseguire un sogno,
chi non si permette almeno una volta nella vita di fuggire ai consigli sensati.
Lentamente muore chi non viaggia,
chi non legge, chi non ascolta musica,
chi non trova grazia in se stesso.
Muore lentamente chi distrugge l'amor proprio,
chi non si lascia aiutare;
chi passa i giorni a lamentarsi della propria sfortuna o della pioggia incessante.
Lentamente muore chi abbandona un progetto prima di iniziarlo,
chi non fa domande sugli argomenti che non conosce,
chi non risponde quando gli si chiede qualcosa che conosce.
Evitiamo la morte a piccole dosi,
ricordando sempre che essere vivo
richiede uno sforzo di gran lunga maggiore del semplice fatto di respirare.
Soltanto l'ardente pazienza porterà al raggiungimento di una splendida felicità.

martha medeiros

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